Torno a sfogliare il Saggio politico sopra le vicissitudini inevitabili delle società civili di Antonio de Giuliani (Trieste, 1755-1835). L’opuscolo apparve a Vienna nel 1791, indirizzato al principe ereditario Francesco, al tempo Granduca di Toscana e Arciduca d’Austria. Se ne deve la riedizione e la cura a Benedetto Croce che lo ristampa nel 1934, presso Laterza, unitamente allo scritto che de Giuliani indirizzò nel 1793 Alla Convenzione nazionale di Parigi, in un volume al quale Croce dà l’attraente titolo di La cagione riposta delle decadenze e delle rivoluzioni.

Si trattava di due opuscoli politici allora quasi dimenticati, come dimenticato, quasi, era il nome dell’autore (che ancor oggi, sia detto di passata, gode di una assai misurata rinomanza). Eppure, «quel che scrisse e stampò il de Giuliani, riferisce Croce, non rimase inosservato ai suoi giorni». Valga il vero: «le Vicissitudini furono rapidamente divulgate e presto due volte ristampate nel testo italiano, a Parigi e, di nuovo, a Vienna; tradotte nello stesso anno 1791 in francese e in tedesco».

Christian Daniel Ehrard, il traduttore tedesco, non manca di notare come il saggio di de Giuliani abbia suscitato «molto scalpore». È infatti l’assunto, sostenuto da de Giuliani in Vicissitudini con esemplare chiarezza, che ne fa lo speciale interesse, in punto di teoria politica e di filosofia della storia. Si presenta come un canone di interpretazione delle dinamiche sociali assai raramente impiegato. Così lo sintetizza Croce: «qui egli stabiliva risolutamente la sua dottrina dell’impotenza della ragione a condurre le cose delle società, le quali hanno in sé un principio di vita elementare, altrettanto ignoto quanto quello che anima le specie viventi: un principio onde esse nascono e crescono e decadono e muoiono fuori di ogni volontà umana». Con il che si intende anche l’apposizione a «vicissitudini» di quell’aggettivo «inevitabili».

Che può, a ben vedere, risultare una sottolineatura enfatica, posto che nel termine vicissitudine si contiene già un senso di ineluttabile, ovvero la significazione di processi che non derogano dai loro corsi, che non sono, pertanto, dominabili e, dunque, non sono suscettibili di modifiche. Ossia non sono rimediabili. Nei mesi tumultuosi della Francia della Rivoluzione, de Giuliani osserva il contegno di una moderna formazione sociale e constata come si affermi nei suoi poderosi rivolgimenti, come operi nelle sue drastiche mutazioni.

Si avvede che essa non consente una trasformazione razionale. Non permette positivi cambiamenti condotti e realizzati secondo intendimenti che, pure, perseguono uno scopo calcolato e mirato. Un’istanza, un fine che appaiono, nel tempo presente, nell’attualità d’una condizione sociale determinata, storicamente giustificati. Nell’opuscolo di de Giuliani è la formazione di una soggettività storica attiva, trasformatrice, che viene messa in discussione e mostrata come illusoria. «Non servono calcoli, scrive il nostro autore, non servono le vedute ministeriali, le cause sono troppo lontane e i ministri non agiscono se non in quanto le circostanze dei tempi permetton loro di agire». E ancora: «ecco come tutto riconosce delle cause lontane, delle quali gli uomini sono gli schiavi dopo esserne stati i ciechi promotori».

È dunque questa angolatura che, mentre gli consente di rilevare i limiti dell’agire politico moderno, gli permette di elaborare una radicale critica a una intera paradigmatica storica. Giunge così fin quasi ad elidere, almeno per riguardo alle società, una loro riconoscibile razionalità storica. Le società? Vi hanno campo le vicissitudini inevitabili, appunto, non le historiae. Là, dove cerchi una direzione, trovi un rovinoso travolgimento.

Qui, dove una forza agisce poderosa, ne misuri la portata per te incontenibile, ne subisci la violenza irrefrenabile. E, più ancora, quando tenti di radunare le ragioni d’una tua consapevolezza che pretendi storica, nell’effettiva loro applicazione esse scivolano via come l’acqua sul vetro. Dinamiche delle quali è possibile registrare gli impreveduti effetti, mentre non è possibile intervenire, per riprendere la locuzione di Croce, a recidere la «cagione riposta» che le attuali conseguenze ha originato.