All’indomani di un piano industriale nel quale si parla di “severa riduzione dei costi” ma non compare la parola esuberi, sul caso Alitalia alcune verità arrivano da Susanna Camusso. “Meno male che il governo ha fatto l’operazione con Poste”, osserva la segretaria della Cgil, che poi spiega: “E’ un intervento coerente? No, ma il problema è che il governo non ha uno strumento pubblico per intervenire nelle situazioni di emergenza”. Camusso ricorda che tutte le compagnie europee hanno nel capitale quote pubbliche. Infine rientra nel suo ambito di competenze: “Occorre aprire un confronto sul piano industriale: per le informazioni che abbiamo noi, il tema non è l’occupazione ma lo sviluppo dell’azienda. E non è pensabile che la crisi della compagnia ricada sui lavoratori”.

Se l’analisi della Cgil è corretta, il futuro di Alitalia dipende dalla sua capacità di farsi largo in un settore sempre più concorrenziale. Con l’obbligatoria ricerca di una partnership – per Giovanni Bazoli di Intesa San Paolo è “il problema principale” – che non sarà Air France-Klm. La compagnia franco-olandese non sottoscrive la sua quota (25%) nell’aumento di capitale da 300 milioni, deciso per evitare l’ignominiosa messa a terra di una ancora robusta flotta di 137 aerei. Ma resta azionista con il 7%, perché al pari di altri soci della compagnia dovrà convertire obbligazioni per 23,75 milioni: l’effetto diretto del prestito di 95 milioni ottenuto da Alitalia nel febbraio scorso, con accordi specifici di conversione firmati da tutti i soci-sottoscrittori.

Ancorché formale, questa ulteriore iniezione di liquidità spiana la strada all’aumento di capitale, facendo superare la quota di 225 milioni che è la soglia minima richiesta dal Tesoro per autorizzare le Poste a sottoscrivere l’inoptato, fino a 75 milioni. Gli altri azionisti di Alitalia (Intesa San Paolo, Atlantia, Immsi e Maccagnani) hanno infatti dato l’ok e versato le loro quote. In aggiunta la stessa Intesa e Unicredit hanno assicurato un intervento per 100 milioni.

I riflettori si spostano dunque sulla ricerca di un nuovo socio: “Ora sarà possibile effettivamente – certifica il ministro Maurizio Lupi – la società innanzitutto e il governo per quanto gli compete, avviare la ricerca di un altro vettore internazionale interessato a una forte partnership con Alitalia”. E i pretendenti, come già aveva osservato Federico Ghizzoni di Unicredit, non dovrebbero mancare. “Si apre una gara che può essere interessante – spiega Giovanni Bazoli – perché ci sono sicuramente delle compagnie aeree, europee o non europee, che possono essere molto interessate ad Alitalia”. I nomi che rimbalzano, da tempo, sono quelli della russa Aeroflot, della cinese Hainan e degli arabi di Etihad.

Ultimo ma non certo per ultimo, il fronte occupazionale. I sindacati di base in arrabbiato presidio a Fiumicino hanno ricordato i 10mila tagli del 2008, e Raffaele Bonanni della Cisl ha già avvertito: “Non accetteremo un piano industriale con esuberi, al governo sanno perfettamente che devono ancora sbolognare quelli del vecchio piano”. Così il cda di Alitalia ha solo reso noto che il nuovo business plan “si basa sulla ricerca di una accresciuta efficienza nella gestione delle attività, e su un miglioramento della capacità di competere sul mercato anche attraverso una severa riduzione dei costi”. Fra i 14mila attuali addetti di Alitalia (900 con contratti a termine) si aspetta l’incontro fra sindacati di categoria e azienda, fissato a inizio settimana, per capirci di più. Lo spettro di 2mila esuberi e di una riduzione del 20% degli stipendi è tutt’altro che scomparso.