Era l’inizio di giugno di 12 anni fa quando i primi colpi di vanga diedero inizio al progetto del Muro in Cisgiordania, fortemente voluto dal governo del premier israeliano Ariel Sharon. Un sofisticato recinto che in origine doveva essere “solo” di 364 km di lunghezza, 52 dei quali eretti nella zona di Gerusalemme. Ora quel serpente di cemento armato e reticolati elettronici corre in profondità dentro il territorio palestinese per quasi 800 km. Ariel Sharon, e prima di lui altri leader israeliani, lo definirono «una barriera di sicurezza» dal terrorismo e dai kamikaze. Per i palestinesi è “il muro dell’apartheid”. Domenica sera, facendo riferimento ancora alla “sicurezza” nazionale, messa a rischio ad oriente dalle offensive armate dei qaedisti, il premier israeliano Netanyahu ha annunciato che Israele costruirà un nuovo muro che da Eilat, lungo la Valle del Giordano, si congiungerà a quello in costruzione sul Golan siriano occupato. Di muri Israele ne ha costruiti altri oltre a quello che corre da nord a sud della Cisgiordania occidentale. Ha completato quello a sud sul confine con l’Egitto, sta ultimando quello sul Golan e una barriera lunga alcuni chilometri è in fase di costruzione davanti al Libano. Di questo nuovo muro che chiude Israele in una fortezza di cemento e dei diritti negati ai palestinesi, abbiamo parlato con l’analista Hafez Barghouti, ex direttore del quotidiano al Hayat al Jadida di Ramallah.

 

Quanto pesa l’annuncio del nuovo muro

Tanto, è un duro colpo a qualsiasi speranza di un accordo negoziato dalle due parti. E’ il colpo mortale al negoziato, fermo ormai da aprile, e alla soluzione dei due Stati. Il nuovo muro che Netanyahu vuole costruire da Eilat al Golan passerà per la Valle del Giordano e sarà presidiato da ingenti forze militari, come avviene per la barriera che scende lungo la Cisgiordania occidentale. E ha fatto questo annuncio ben sapendo che i palestinesi non accetteranno mai la presenza di soldati israeliani all’interno del loro Stato. Temo che abbia avuto lo scopo proprio di far saltare qualsiasi ipotesi di ripresa delle trattative e di affermare la volontà di portare a termine la seconda fase del progetto del movimento sionista, annettere a Israele il resto della Palestina rinchiudendo i palestinesi in una sorta di riserve indiane.

 

Netanyahu dice che la Valle del Giordano e il Muro serviranno a tenere indietro i miliziani qaedisti che oggi occupano Iraq e Siria e che domani, afferma, potrebbero attaccare la Giordania, mettendo a rischio la sicurezza di Israele.

Sono pretesti per ottenere consensi alla sua politica di occupazione dei nostri territori. Il controllo della Valle del Giordano e la costruzione di un muro non darebbero alcun sicurezza in più a Israele. Per il semplice motivo che oggi le guerre non si combattono più con i carri armati, con l’impiego di decine di migliaia di uomini. I pericoli che Netanyahu dice di temere saranno eventualmente rappresentati da miliziani armati di razzi, missili e cose simili che non potranno essere fermati da un muro o dal controllo della Valle del Giordano. La strategia è sempre la stessa e non è stato Netanyahu a metterla per primo su carta. Anche il (premier) laburista Ehud Barak immaginava una soluzione simile a quella che propone oggi il primo ministro israeliano.

 

Perchè l’Autorità nazionale palestinese non ha ancora reagito alla notizia del nuovo muro.

L’Anp è confusa, non sa cosa fare, è sotto pressione da parte di tutti. Aspetta di registrare le reazioni di cittadini israeliani e palestinesi per poi decidere una sua risposta alla mossa israeliana. Deve fare i conti con Fatah, con Hamas, con la gente, con tutti. E come spesso accade non prende posizione. Un atteggiamento che certo non aiuta a realizzare le aspirazioni dei palestinesi.

 

E’ già finita l’esperienza del governo di unità nazionale con Fatah e Hamas dentro.

Credo di sì, ben pochi ci credono ancora. In tutta sincerità dobbiamo anche dire che Hamas, o gran parte del movimento islamico, non ha mai voluto sinceramente la riconciliazione. Così come dentro Fatah si registra un approccio simile. Netanyahu con le sue politiche, i suoi annunci, ha saputo giocare la sua partita tra le divisioni palestinesi, e il suo vantaggio è sensibile.