Trasformare una crisi globale (la pandemia di Covid-19) in un’opportunità per elaborare gli strumenti necessari per affrontare la minaccia epocale dei nostri tempi (i cambiamenti climatici). «Never waste a good crisis. Cosa imparare dalla pandemia per affrontare la crisi climatica» è stato il titolo della 31ma edizione dei Colloqui di Dobbiaco, laboratorio d’idee per una svolta ecologica, che si è tenuta nel centro altoatesino il 26 e il 27 settembre.

Cosa può esserci di positivo in una crisi così drammatica? A Dobbiaco se ne è parlato tra gli altri anche con l’economista britannico Graeme Maxton, dal 2014 al 2018 segretario generale del Club di Roma, l’associazione di scienziati, umanisti e imprenditori legati dalla comune preoccupazione per la situazione mondiale.

Il cambiamento climatico è ormai un’emergenza? Non ci resta altro da fare che fuggire?

Non si può scappare dai cambiamenti climatici. Abbiamo un solo clima. Piuttosto dobbiamo trovare vie d’uscita che ci portino in una situazione più sicura. È troppo tardi per le mezze misure, occorrono azioni forti e radicali per fermare i cambiamenti climatici.

Fare sacrifici significa accettare il deterioramento delle nostre condizioni di vita. Eppure il Green New Deal sembra molto più pieno di speranza.

Certo, ma il Green New Deal non è realistico. Il problema è che tutti vogliono trovare una soluzione semplice, con meno cambiamenti possibili, per poter grosso modo continuare a fare quello abbiamo sempre fatto, continuare a bruciare carburanti fossili in una società che produce e consuma come quella di oggi. Ma la soluzione semplice che ci permetterebbe di continuare a vivere la vita di oggi non esiste, perché stiamo calpestando i limiti della natura. Non esistono alternative a una riduzione drastica del nostro consumo di energia e materie prime. Se non cambiano gli standard della nostra vita non esiste possibilità di andare avanti.

Il Coronavirus non è legato ai cambiamenti climatici, però ci dà un’idea di come immaginare l’emergenza climatica e di come reagire. Siamo di fronte a una specie di stress test?

Questa situazione dimostra in positivo che si possono mettere freni al sistema economico se è necessario farlo. Si può impedire alla gente di volare, si possono fermare delle industrie, si possono prendere delle misure drastiche in poco tempo. Il problema che si manifesterà nei prossimi mesi sarà che le forze che spingono per mantenere le dinamiche economiche convenzionali diventeranno più forti per paura di un collasso economico. Da un lato siamo di fronte a un segnale molto positivo, vale a dire che questi cambiamenti radicali sono fattibili, ma dall’altro manca una pianificazione consapevole, non si ragiona in modo dettagliato su come intervenire perché in questa transizione le persone rimangano al sicuro e non soffrano, né di salute né economicamente.

Lei pensa che in situazioni catastrofiche come quella che stiamo vivendo sarebbe possibile trovare soluzioni efficienti sulla base di un’analisi approfondita?

Non vedo nessun’altra opzione. Sarebbe molto stupido provare ad attuare i cambiamenti necessari senza una profonda analisi delle conseguenze. Ci vogliono persone con le giuste competenze e la giusta visione nei posti giusti, non esiste un’alternativa. O proviamo ad andare avanti con le misure necessarie, pur con errori inevitabili, o ci troveremo di fronte a una crisi più grande.

Dove troviamo queste persone con le competenze giuste? Chi le sceglie? Con quale autorità?

Abbiamo bisogno di nuove idee, di un nuovo modo di pensare e forse in alcuni casi di metodi meno diplomatici. Si tratta di un’emergenza, non di un transito dolce e facile. Stiamo parlando quasi di una situazione di guerra e abbiamo bisogno di leadership, di persone forti che comprendono che cosa è il meglio per l’umanità. Sfortunatamente il nostro sistema educativo non ha creato una maggioranza di persone che comprendono a che punto siamo. Quello che ci blocca è che la nostra società decide coscientemente di non cambiare. Conosciamo i problemi e le conseguenze ma prendiamo la decisione di non cambiare. Perché? Perché restiamo fermi nel presente, in questo sistema di materialismo e crescita. Il sistema economico ci ha fatto il lavaggio del cervello convincendoci che questo è ciò che noi vogliamo. Sono due le istituzioni di base che stanno fallendo: il sistema economico e il sistema democratico. Siamo un po’ come nel ‘400, prima dell’Illuminismo, quando la maggioranza credeva alla Bibbia in senso letterale e condivideva molte idee fondamentalmente sbagliate. La soluzione deve essere cercata lì, nel provare a convincere le persone che ciò in cui credono è sbagliato. Fermiamo prima di tutto i danni in corso e poi pensiamo al futuro, lavorando per un nuovo Illuminismo.