La Corte costituzionale che ha rinviato la decisione sull’Italicum a dopo il referendum per cercare di tenersi lontana dalle polemiche politiche, potrebbe paradossalmente vedersi recapitare un quesito di costituzionalità che riguarda direttamente il referendum sulla riforma. Ritorna il problema del quesito unico, quello cioè che tra fine novembre e inizio dicembre chiederà agli elettori di rispondere con un Sì o un No a una legge di oltre 40 articoli che revisiona la Costituzione in parti assai diverse. Un solo Sì o un solo No all’abolizione del Cnel, alle nuove competenze del senato, ai senatori non eletti direttamente dal popolo, ai nuovi poteri del governo e alla nuova architettura dei rapporti stato-regioni. Impossibile per il cittadino scegliere o distinguere: il referendum con un quesito unico è prendere o lasciare.
Rispetta, questa modalità di voto, il diritto degli elettori a esprimersi in maniera libera e consapevole, principio sancito negli articoli 48 e 1 della Costituzione? Lo hanno chiesto al tribunale civile di Milano gli avvocati Claudio e Ilaria Tani, Aldo Bozzi ed Emilio Zecca; nel procedimento si sono poi inseriti il costituzionalista Fulco Lanchester e i radicali Riccardo Maggi (segretario dei radicali italiani) e Mario Staderini, rappresentati dall’avvocato Felice Besostri. Si è così ricomposto il gruppo di legali che nel 2013 ha affondato il Porcellum e che avrebbe tentato di fare il bis con l’Italicum nell’udienza della Consulta prevista per il 4 ottobre che è stata invece rinviata.

Due giorni dopo quel mancato appuntamento, il prossimo 6 ottobre, davanti alla prima sezione civile di Milano si discuterà il ricorso di urgenza con il quale si chiede al giudice monocratico di rinviare gli atti alla Corte costituzionale, essendo il diritto al voto libero messo in pericolo dall’imminente referendum costituzionale. La questione era già stata posta dai radicali a luglio, quando tentarono di proporre non uno ma più referendum sulla riforma, «spacchettando» i quesiti sulla Renzi-Boschi davanti all’ufficio centrale della Corte di Cassazione. Ma non ci furono abbastanza parlamentari disponibili a sostenere la proposta, così non è stato possibile porre formalmente la questione.
Questione che è ben presente nelle riflessioni dei costituzionalisti italiani, a cominciare da quelle di Alessandro Pace che attualmente presiede il comitato per il No al referendum. La Consulta si è anche espressa, nel 1978 e nel 1987, per stabilire che i quesiti referendari devono essere «omogenei». L’elettore non può «volere ciò che disvuole», hanno detto i giudici delle leggi, che però si sono espressi sul referendum abrogativo, che è un istituto diverso dal referendum costituzionale. Tanto è vero che la legge che nel 1970 ha disciplinato i referendum prevede la possibilità di quesiti parziali solo per i referendum abrogativi.

Ma il principio, il diritto cioè a un voto pienamente libero e consapevole – argomentano l’avvocato Tani e i colleghi – è lo stesso, alla base anche della famosa sentenza che ha abbattuto le liste bloccate del Porcellum. Per questo si chiede al giudice di Milano di rimettere con urgenza la questione di legittimità costituzionale della legge 352/1970 alla Consulta, nella parte in cui non prevede l’obbligo di quesiti omogenei anche per il referendum costituzionale e non lascia all’ufficio centrale della Cassazione la possibilità di dividere il quesito in parti separate. In ogni caso, anche se il giudice civile dovesse accogliere le ragioni dell’urgenza, è praticamente impossibile che la Corte costituzionale possa esprimersi sulla questione prima del referendum. La cui data verrà finalmente ufficializzata lunedì prossimo dal governo. E anche in questo caso c’è chi è già pronto a impugnare il decreto che Renzi sta per firmare.