Un tempo il giallo era assoluto appannaggio della letteratura anglo-sassone. E anche se quello che viene considerato il primo racconto di tale genere, I delitti della rue Morgue di Edgar Allan Poe, era ambientato a Parigi, era difficile immaginare un delitto, e l’indagine conseguente, che avesse luogo al di fuori di Inghilterra o Stati Uniti. Poi la letteratura interessata al crimine ha travolto ogni frontiera e sono apparsi il polar francese, noir e thriller italiani, sudamericani, nordeuropei. Di recente abbiamo avuto anche uno Sherlock Holmes che indagava in Tibet e i romanzi di Tarquin Hall, ambientati in India e dedicati alle indagini del detective Vish Puri.
Ora arriva in libreria Mata Malam. Gialli balinesi (Memori, pp. 239, euro 17,50) di Anna Abate. Tre casi che vedono protagonista l’unica detective privata di Bali, Mata Malam, appunto. Una protagonista alquanto particolare. Non è originaria dell’isola degli Dei, ma si tratta di un’italiana, una romana per la precisione, «spiaggiatasi sull’isola alla fine dei favolosi anni ‘70». Un tratto che la accomuna all’autrice che trascorre gran parte del suo tempo sull’isola. Naturalmente quello che dà il titolo al libro non è il suo vero nome ed è la stessa investigatrice che ce ne spiega, non senza humour, la sua origine: «Vi ricordate Mata Hari? Beh, se la spia internazionale, immortalata da Greta Garbo, era l’occhio del sole (l’occhio mata, del giorno, hari), io sono l’occhio della notte, Mata Malam».
Il libro è composto da un testo, il primo, sensibilmente più lungo – una sorta di romanzo breve di circa 130 pagine – e da due racconti di una cinquantina di pagine ciascuno ed è arricchito da un utile glossario dei vari termini balinesi o, meglio, in Bahasa Indonesia, usati all’interno delle storie.
Si parte con un’epidemia di rabbia che ha causato la morte di un bambino, su cui Mata indagherà convincendosi sempre di più che non si è trattato di pura fatalità. Si passa poi al classico caso in cui la protagonista deve cercare di far uscire di prigione un suo amico, dal passato non proprio cristallino, che è stato «incastrato» facendo ritrovare alla polizia una grande quantità di droga nella sua casa. L’ultimo caso, forse il più duro e, allo stesso tempo commovente, riguarda alcuni omicidi conseguenza di una rapina andata male.
L’isola di Bali è protagonista assoluta, con tutte le trasformazioni e le contraddizioni che l’hanno attraversata. E che vedono convivere l’isola di sogno che è sempre stata con la meta del turismo internazionale, assediata da palazzinari e affaristi senza scrupoli che si sono «ingrassati imponendo tempi stretti di produzione, grandi quantità, costi stracciati» e che «hanno messo in ginocchio un raffinato artigianato».
Quello che più colpisce nelle storie di Anna Abate è la capacità di creare plot inconsueti. Anche nel caso più «classico», il secondo, l’autrice costruisce un epilogo che si distacca di molto da quelli tipici nelle situazioni di un innocente in prigione. Inoltre, come nei migliori noir, le situazioni non sono mai definite nettamente, e spesso i buoni hanno magagne nel loro passato.
Sembra quasi che tutto rifletta il carattere denso di contraddizioni della protagonista che è capace di essere sbrigativa, dura, pratica e, allo stesso tempo tenera, divertente. Proprio come gli insondabili, e a prima vista contradditori, abissi del cosiddetto Bali-Pensiero, la filosofia o, meglio, la visione delle cose tipica degli abitanti dell’isola degli Dei.