Le cronache dal vertice di Sharm el-Sheik tra Ue e Lega Araba, con le dichiarazioni del presidente egiziano al-Sisi – «Conosciamo e rispettiamo i costumi occidentali e chiediamo che vengano rispettati quelli egiziani», con riferimento implicito alla pena di morte – non possono non far pensare a un romanzo uscito qualche mese fa per Nero Editore e firmato dalla cairota Basma Abdel Aziz, La fila (pp. 177, euro 17).

IN UNA CITTÀ non meglio precisata del Nord Africa, ma tutto lascia intendere che ci si trovi in Egitto, avvengono strani fatti davanti alla Porta, un’entità misteriosa – apparentemente senza colore politico né religioso – che governa la vita e la morte di tutti quelli che ne attendono l’apertura. Lungo questa fila chilometrica, all’interno della quale si consumano drammi personali indicibili, la gente attende che i propri diritti vengano rispettati. Niente cure mediche per chi è inviso alla Porta. Pestaggi e uccisioni per chi cerca di violare gli spazi dell’enorme e misterioso edificio governativo. Tutto è talmente surreale da sembrare possibile. Come le continue violazioni nell’Egitto di oggi, dove attivisti e dissidenti politici sono puniti con la pena capitale.

«Non si concedono permessi per l’estrazione di pallottole salvo a chi abbia dimostrato con prove inoppugnabili di averne indubitabile diritto, nonché di avere totale rispetto della moralità e della probità e di essere in possesso di un Certificato di Buona Cittadinanza ufficiale», si legge nel libro. Qui non esiste un potere gerarchizzato: c’è un «dentro» e un «fuori». I protagonisti del romanzo sono quasi tutti nel girone degli esclusi, dove l’attesa è sacrificio, dove la notte trascorre nel tentativo di non perdere il posto e l’alba è portatrice di una rinnovata speranza che la Porta si apra.

All’interno, un medico dell’ospedale è pieno di scrupoli: non può riconoscere che un paziente sia stato ferito da una pallottola durante gli scontri di piazza. Vorrebbe dire ammettere l’esistenza di disordini e malcontento. Che fare, allora? Falsificare il referto o fingersi irreperibile? Un dilemma che va oltre l’etica professionale, che coinvolge la coscienza civile del cittadino.

Straniante ai limiti del paradossale, La fila è un noir dall’avvio lento, quasi ovattato, che rende volutamente incomprensibile l’evoluzione iniziale degli eventi. La svolta narrativa arriva inaspettata, come nei migliori gialli d’ambiente, con note thriller e un acuto finale a sorpresa.

De La fila si è parlato poco, anche a causa delle numerose limitazioni nell’intervistare l’autrice, i cui social sono stati bloccati proprio in concomitanza con l’uscita del volume in italiano. «Questo romanzo mi ha dato la possibilità di dire ciò che volevo sul potere autoritario, sui totalitarismi. Ho mascherato la realtà con la fiction senza il pericolo di ripercussioni», aveva dichiarato la Aziz al New York Times nel 2017, dopo la pubblicazione del libro in inglese.

LA GENESI DEL ROMANZO sta nell’osservazione di una lunga fila, davanti a un ufficio governativo chiuso nel centro del Cairo. Trascorse alcune ore da quel primo approccio visivo, la stessa madre, lo stesso uomo anziano scorti tra la folla al mattino erano ancora lì. «Quando sono tornata a casa mi sono subito messa a scrivere di quella coda inimmaginabile di persone. Non ho lasciato il computer per 11 ore», aveva raccontato al quotidiano newyorchese l’autrice che di professione fa la psichiatra e si occupa delle vittime di tortura. La storia reale è diventata il suo romanzo d’esordio. Una narrazione lunga 140 giorni, e molte più sofferenze.