È uscito il primo numero del 2017 di Critica Marxista. Nuova veste grafica e nuovo editore (Ediesse), ma identici gli intenti che avevano spinto nel 1992 un variegato gruppo di intellettuali e militanti a rilevare la testata, dopo che il suo vecchio proprietario, il Pci divenuto Pds, ne aveva deciso la chiusura. Si tratta di una rivista storica della sinistra italiana. Fondata nel 1963 come bimestrale teorico del Partito comunista italiano, ha avuto come direttori intellettuali e politici di rilievo: da Luigi Longo e Alessandro Natta a Emilio Sereni e Luciano Gruppi. Sotto l’attuale direzione di Aldo Tortorella e Aldo Zanardo, e con Guido Liguori come redattore capo, si propone di offrire uno spazio di analisi «per ripensare la sinistra», ospitando studi sulla realtà politica e sociale contemporanea e saggi teorici o di ricostruzione storiografica.

L’EDITORIALE a firma di Tortorella ha il compito di calare queste riflessioni nell’attualità della fase, oggi segnata da un movimento di ricomposizione a sinistra più volte caldeggiato dalle pagine della rivista. Se lo sguardo sembra rivolto, in prima istanza, ai fuoriusciti dal Pd renziano e a Sinistra italiana, la varietà dei contributi testimonia l’attenzione alle anime della «sinistra diffusa». La Cgil, per esempio, a cui si collegano gli articoli dedicati alle tematiche del lavoro: si veda Piergiovanni Alleva sulla proposta di legge regionale de «L’Altra Emilia Romagna» sulla riduzione dell’orario di lavoro tramite i contratti collettivi aziendali di solidarietà «espansiva». Ma anche il variegato movimento femminista, al centro delle riflessioni di Serena Fiorletta sugli esiti della manifestazione romana del 26 novembre, le assemblee «Non una di meno» e lo sciopero dell’8 marzo, e di Giordana Masotto sulla soggettività femminile come elemento di trasformazione della cultura e della politica.

Il focus del numero è dedicato all’analisi dell’elezione di Trump e alle caratteristiche che sta assumendo «il declino della democrazia in America», come lo definisce Joseph Buttigieg. Tra gli elementi principali, lo studioso analizza il «paradigma del declino americano», cioè la convinzione diffusa e alimentata dai teorici del «trumpismo» che gli Stati Uniti stiano attraversando una fase di crisi epocale.

POCO IMPORTA se i gli indicatori economici dicono tutt’altro, soprattutto per una middle class che ha pagato il prezzo più alto della de-industrializzazione e che si è rivelata decisiva negli Stati chiave. «Lungi dall’essere dimenticati – scrive Buttigieg – i sostenitori di Trump sono tra i militanti più visibili, aggressivi e di maggior successo dal punto di vista politico della storia degli Stati Uniti». L’analisi di Bruno Cartosio sembra confermare queste tendenze e il giudizio di fondo sulla crisi di una democrazia in cui il presidente è il primo produttore di fake news in una società sempre meno istruita e più chiusa.

L’AUTORE SPIEGA che se è vero che «non esiste una correlazione diretta tra le diseguaglianze sociali e i comportamenti elettorali, senza l’economia neoliberista un candidato come Trump e un simile esito elettorale non si sarebbero dati». La natura dell’attuale sistema di produzione rimane quindi al centro di questo network di intellettuali che ha raccolto la sfida storica del Novecento e della sua sconfitta.