Per una volta i sondaggi sono unanimi. Il prossimo 25 maggio circa un quarto dei cittadini dell’Unione europea è pronta a votare per un partito euroscettico, populista o di estrema destra.
Lo «sciovinismo del benessere» per alcuni, o all’opposto, la precarietà e l’emarginazione di molti, stanno alimentando un sentimento diffuso di rifiuto dell’Europa e delle sue istituzioni. L’euroscetticismo che si fa «proposta politica» non rappresenta però nella maggior parte dei casi la legittima messa in discussione delle scelte della Ue in materia economica o sociale, quanto piuttosto l’identificazione degli «euro-burocrati» o del «potere senza volto di Bruxelles» come il nuovo nemico verso cui indirizzare il malessere e la disperazione sociale che crescono per effetto della crisi. Nel vocabolario euroscettico, alla «malattia» dell’Europa si contrappongono delle soluzioni «magiche» come il ritorno allo Stato-nazione, alla moneta nazionale, o all’«identità perduta» della patria. E gli appelli identitari si accompagnano spesso al riferimento ad altri «pericoli» che graverebbero sulle nostre società: l’immigrazione di massa, la diffusione dell’Islam, la crisi della famiglia, l’insicurezza.
L’euroscetticismo finisce così per intrecciarsi con le culture della destra radicale, quando non ne rappresenta tout-court il volto nuovo, ma pur sempre riconoscibile, nell’evocazione di un mitico ritorno a un mondo fatto di piccole patrie.

Un fenomeno eterogeneo

Certo, si è di fronte a un fenomeno estremamente eterogeneo che mescola partiti e movimenti molto diversi tra loro. Nei tre paesi dove gli euroscettici sono dati in testa in vista del voto – Francia, Gran Bretagna e nella regione belga delle Fiandre – è difficile scorgere similitudini evidenti. Come è del resto diverso il profilo delle forze politiche che incarnano il fenomeno. L’United Kingdom Independence Party (Ukip), partito per l’Indipendenza del Regno Unito, fondato da alcuni ex appartenenti al partito conservatore, tra cui il leader Nigel Farage, sta già influenzando le scelte del governo di David Cameron in materia di immigrazione e politiche europee. Il Front National francese di Marine Le Pen, che sta cercando di modernizzare il vecchio partito neofascista ereditato dal padre Jean-Marie, rimane decisamente schierato su una logica «anti-sistema», malgrado sia passato dal «no all’immigrazione» al «no all’Euro». Infine, la Nieuw-Vlaamse Alliantie (N-va), la Nuova alleanza fiamminga di Bart De Weaver, maggiore partito delle Fiandre, che pesca elettori a destra come nel centrosinistra, ha già annunciato che, malgrado l’opposizione della Ue, cercherà di separare definitivamente le due regioni del Belgio. E nel paese, dopo le europee, si voterà anche per le politiche.
Queste e molte altre le forze in campo. Prima di passarle in rassegna, varrà la pena di riflettere su ciò che comporterebbe una loro forte affermazione il 25 maggio.
Attualmente, al parlamento europeo, su 766 deputati gli euroscettici e l’ultradestra possono contare sui 32 membri del gruppo Europa della Libertà e della Democrazia e su circa la metà dei 27 eletti «non iscritti». In caso di una larga vittoria, questi numeri potrebbero almeno raddoppiare, portando alla nascita di uno o più gruppi anti-Ue a Bruxelles: uno scenario dagli esiti oggi indefinibili. In ogni caso, un’onda di piena del populismo spingerebbe il Partito popolare europeo, già attraversato da tendenze radicali – ne fanno parte anche gli eletti del Pdl berlusconiano e gli ungheresi del Fidesz di Orbán -, ad accentuare il suo carattere conservatore e le sue politiche repressive e anti-immigrati.

Contro le tasse e per il capo

In questa mappa dell’euroscetticismo si può identificare un primo livello più vicino al mondo conservatore che non all’estrema destra «dura e pura». È rappresentato dalle formazioni che esprimono una sorta di radicalizzazione della destra classica o lo sviluppo di una «nuova destra» populista, spesso legata alla figura di un leader carismatico e che al sentimento anti-Europa affiancano temi come l’opposizione alle tasse e una politica law and order. Partiti come il già citato Ukip, come i Perussuomalaiset, il movimento dei Veri finlandesi di Timo Soini, dal 2011 terzo partito di Helsinki, grazie a circa il 20% dei consensi, o come l’Azione dei cittadini insoddisfatti del miliardario Andrej Babis che ha raccolto oltre il 18% dei voti nella Repubblica Ceca. Simile il caso del Team Stronach für Österreich, il movimento personale guidato da un altro imprenditore di successo, Franck Stronach che solo pochi mesi fa ha convinto poco meno del 10% degli elettori austriaci a votare per lui. A queste formazioni si può aggiungere l’Alternative für Deutschland, il movimento anti-Euro formato da economisti e manager provenienti della Confindustria tedesca, e da figure già vicine alla Cdu di Angela Merkel, nato lo scorso anno e non ancora rappresentato nemmeno nel Bundestag.

Nel nome di Marine

Il secondo livello di questo schema è invece occupato da quelle formazioni che rappresentano esplicitamente il nuovo volto dell’estrema destra. Partiti che hanno fin qui fatto del rifiuto dell’immigrazione, quando non della xenofobia più esplicita, la loro bandiera. Riuniti intorno alla figura di Marine Le Pen, queste formazioni hanno siglato alla fine dello scorso anno un accordo per dare vita a un gruppo comune al parlamento europeo. Della partita fanno parte, oltre al Front National francese, il Partij voor de Vrijheid, il partito per la libertà olandese di Geert Wilders, campione indiscusso dell’islamofobia europea e i liberal-nazionali austriaci dell’Fpö di Heinz Christian Strache, considerato l’erede politico di Jörg Haider. All’alleanza anti-Ue dell’ultradestra si è poi unita anche la Lega Nord di Matteo Salvini che ha ospitato a metà dicembre nel suo congresso al Lingotto di Torino i rappresentanti dei maggiori partiti coinvolti. «Questa non è l’Unione europea, ma l’Unione sovietica, un gulag», la frase del segretario leghista affidata alle cronache in quell’occasione.
Il «patto» voluto da Le Pen comprende poi anche gli indipendentisti fiamminghi di estrema destra del Vlaams Belang, sviluppo del vecchio Vlaams Blok incoraggiato a cambiare nome dopo una condanna per istigazione all’odio razziale, e gli Sverigedemokraterna, i Democratici Svedesi di Jimmie Akesson, poco più che un ombrello legale per le bande neonaziste fino a pochi anni fa, che i sondaggi danno oggi in rapida crescita anche in vista delle elezioni politiche fissate per settembre. All’accordo, hanno aderito anche alcune formazioni minori di Polonia, Slovacchia e Bulgaria.

Il ritorno del neonazismo

Infine, all’ultimo stadio dell’euroscetticismo si incontrano i movimenti neofascisti e le formazioni della destra radicale. Tra questi, gli ungheresi di Jobbik e gli inglesi del British National Party, che contano rispettivamente tre e due parlamentari europei. Secondo il magazine antifascista britannico Searchlight, proprio nei giorni scorsi si sarebbe svolto a Londra un incontro tra il «führer» del Bnp Nick Griffin, eletto a Bruxelles nel 2009, e l’ungherese Gábor Vona, leader di Jobbik, per suggellare un’alleanza in vista del voto di maggio. Del possibile «cartello elettorale» dell’internazionale nera dovrebbero far parte anche i greci di Alba Dorata e i polacchi di Ruch Narodowy, Movimento Nazionale, un gruppo che organizza ogni anno a Varsavia la grande manifestazione dell’estrema destra nel giorno della festa dell’indipendenza, l’11 novembre, evento che si conclude spesso con gravi incidenti.
Da notare come dal palco della manifestazione sia intervenuto lo scorso anno anche Roberto Fiore, leader di Forza Nuova. Allo stesso modo si può segnalare come di recente gli esponenti di Alba Dorata siano stati ospiti a Roma di un altro gruppo neofascista italiano, Casa Pound. Quanto alla campagna per le europee, per il momento non è chiaro se con Jobbik e il Bnp scenderà in campo anche l’Npd tedesca, il più vecchio partito neonazista del continente.

La promessa dell’Est

In ogni caso, è soprattutto dalle regioni dell’Europa centro-orientale che potrebbero arrivare ulteriori spiacevoli sorprese il 25 maggio. Ancora dalla Polonia, che cinque anni fa aveva eletto ben dieci deputati ultraconservatori a Bruxelles, 6 nelle fila di Diritto e giustizia, il partito nazional-cattolico fondato nel 2001 dai gemelli Kaczynski, e 4 in quelle di Polonia solidale, scissione da destra di quest’ultima formazione. O dalla Romania, dove dà segni di ripresa il Partidul România Mare, Partito della Grande Romania, spesso accusato di antisemitismo e negazionismo, guidato da Corneliu Vadim Tudor. O, ancora, dalla Bulgaria, dove il movimento antiturco e antimusulmano dell’Unione Nazionale Ataka, meglio noto come Ataka (Attacca!), di Volen Siderov che grazie al sostegno dei suoi 23 deputati garantisce dallo scorso anno la sopravvivenza di un governo monocolore socialista, è dato in forte crescita nei sondaggi. Simili segnali arrivano poi anche della Slovacchia dove il neonazista Marian Kotleba è appena stato eletto governatore di una piccola regione.
Del resto, che in questa parte d’Europa la situazione sia potenzialmente esplosiva, lo dimostra proprio in questi giorni il ruolo sempre più violento assunto dai neonazisti di Svoboda, il partito che ha raccolto il 10% dei consensi nelle elezioni ucraine del 2012, e dai gruppi di ultrà razzisti, autodefinitisi come Pravy Sektor, il Settore destro, nella cosiddetta «Euromaidan» di Kiev. Paradossalmente, in questo caso, l’estrema destra non si batte contro, ma a favore dell’Unione europea.