Non si può dire che il tanto atteso negoziato sia cominciato sotto buoni auspici. Dopo un primo incontro a Washington, due settimane fa, i team di negoziatori israeliano e palestinese si sono ritrovati ieri a Gerusalemme, città contesa e occupata, teatro di discriminazioni quotidiane e battaglie per la conquista di un metro in più di terra. La Livni per Tel Aviv, Saeb Erekat per Ramallah. In mezzo, decine di centinaia di nuove abitazioni nei Territori Occupati, bombe che sono di nuovo piovute su Gaza e 26 prigionieri politici rilasciati dopo oltre 20 anni.
La giornata di ieri è iniziata molto presto: intorno all’1 di notte, i primi 26 dei 104 detenuti palestinesi che Israele ha messo sul tavolo del negoziato sono stati rilasciati. Prima radunati nel carcere di Ayalon, a Ramle, e poi fatti salire su due autobus, uno diretto al valico di Erez al confine con Gaza, il secondo al checkpoint di Betunia a Ramallah. Ad accoglierli c’erano le famiglie in festa, tante bandiere palestinesi e di fronte al palazzo presidenziale di Ramallah, la Muqata, anche il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas.
Tutti condannati prima del 1993 – la maggior parte all’ergastolo con l’accusa di aver compiuto attentati terroristici o di aver ucciso cittadini israeliani – e molti di loro membri di Fatah, i 26 (e poi i restanti 78) sono finiti al centro delle attenzioni statunitensi, israeliane e palestinesi. Da parte loro Washington e Tel Aviv li hanno mostrati come l’esempio concreto della buona volontà del governo Netanyahu a tornare al tavolo del negoziato, mentre per Abbas sono diventati il trofeo da esibire, la prova dei risultati che l’Anp avrebbe saputo conquistare nelle settimane precedenti l’avvio del dialogo. «Questo è il primo gruppo – ha gridato nella notte Abbas alla folla – Continueremo fino a quando tutti i prigionieri saranno liberati dalle prigioni israeliane».
Un risultato minimo, però, se paragonato a quanto accade sul terreno: oltre 2.100 nuove unità abitative per coloni negli insediamenti israeliani di Gerusalemme Est e della Cisgiordania e nuove bombe su Gaza. L’aviazione militare israeliana ha colpito la Striscia nella mattinata di ieri, dopo il lancio verso il Sud di Israele di una serie di razzi. «Gli attacchi dell’Idf sono stati la conseguenza di missili lanciati contro i civili di Sha’ar Ha Neghev martedì sera», ha detto il portavoce dell’esercito israeliano, Peter Lerner. I missili non hanno provocato né feriti né danni.
Nessun gruppo ha rivendicato il lancio. Alcuni osservatori ritengono possa essere stato un messaggio inviato da Hamas sia a Israele che all’Anp. Seppur non abbia rotto il cessate il fuoco dello scorso novembre e abbia tentato di impedire lanci di missili da parte di altri gruppi armati, è nota l’avversione di Hamas alla ripresa del negoziato, considerato dal movimento islamico – governo de facto della Striscia – un mezzo per ripulire l’immagine di Israele agli occhi della comunità internazionale.
Non solo. In un rapporto reso pubblico ieri, Hamas accusa l’Anp di aver raggiunto con Kerry un accordo segreto: il confine del futuro Stato di Palestina sarà il Muro di separazione. Una barriera che negli ultimi dieci anni ha provocato la confisca e l’occupazione di circa il 10% della Cisgiordania, mangiando terre e annettendole prima alle colonie e poi allo Stato di Israele. Per questo, secondo il rapporto di Hamas, fondato sulle dichiarazioni di una fonte anonima, si provvederà ad uno scambio di territori con Israele. Immediata la reazione dell’Olp: «Non prendo questo rapporto seriamente», ha detto uno dei membri del Comitato Esecutivo, Hanan Ashrawi.
Le colonie restano in ogni caso al centro del dibattito. I nuovi progetti coloniali hanno provocato tra i palestinesi una rabbia considerata pericolosa per la ripresa del negoziato. «Un atto senza precedenti», li ha definiti il funzionario dell’Olp, Yasser Abed Rabbo. Tanto pericolosa da spingere il segretario di Stato americano, John Kerry – che con i negoziati israelo-palestinesi si gioca la credibilità dell’amministrazione Obama in Medio Oriente – a telefonare al presidente Abbas poche ore prima dell’incontro a Gerusalemme per tentare di placare gli animi. Il prossimo incontro si terrà a Gerico, data ancora da specificare.