Un brusco passaggio dalla luce del giorno al buio pesto della notte. Un anno fa Betlemme festeggiava il Natale più ricco degli ultimi venti anni con hotel, ristoranti e negozi strabordanti di turisti e pellegrini. E con la piazza della Mangiatoia, davanti alla Chiesa della Natività, affollata come non mai. C’era un unico problema, quello solito vecchio di oltre 50 anni, l’occupazione militare israeliana che con le sue restrizioni e il Muro limita le enormi potenzialità della città palestinese, una delle più conosciute nel mondo. Quest’anno al contrario regna una profonda depressione tra gli abitanti che si aggirano nelle strade dove pure non mancano gli addobbi natalizi, le luci colorate e nel centro dove svetta il tradizionale grande albero di Natale allestito dal comune. Il coronavirus ha spento la gioia della festa. E proprio in questi giorni di Natale il governo del premier palestinese Mohammed Shttayeh è stato costretto ad imporre altre due settimane di lockdown per contenere la diffusione del virus che ha accelerato in questo ultimo mese in Cisgiordania.

Il distretto di Betlemme è stato a marzo la prima area palestinese in cui si sono registrati casi di ammalati da Covid-19. Da allora, assieme a quello di Hebron, si è segnalato come uno dei focolai principali della pandemia. Le conseguenze sono state molto gravi e non solo dal punto di vista sanitario. Il turismo, il motore vero dell’economia della città, che dà da vivere a quasi la metà degli abitanti, è fermo completamente da dieci mesi. I 30mila lavoratori palestinesi del turismo rimasti disoccupati sono in gran parte di Betlemme. Nell’indotto i posti di lavoro persi sono molte altre migliaia.

«Abbiamo vissuto feste di Natale tremende negli anni passati, tra offensive militari, guerre nella regione, violenze ed occupazione israeliana. Eppure anche in quei giorni neri si incontravano un po’ di stranieri, qualcosa si muoveva.  Questa pandemia ha bloccato tutto, siamo in ginocchio», racconta al manifesto Doha Bandak, manager del Grand Hotel, uno degli alberghi storici della città. «Non possiamo pianificare il futuro – aggiunge – e intanto i nostri risparmi si sono esauriti e non riusciamo ad aiutare i nostri dipendenti. Non ci facciamo illusioni. Ora ci sono i vaccini ma il turismo comunque impiegherà anni a riprendersi».

La ministra del turismo dell’Anp, Rola Maayah, calcola in oltre un miliardo e mezzo di dollari i danni subiti da Betlemme per la chiusura totale o parziale dei suoi 72 hotel e delle centinaia di ristoranti, negozi di souvenir e di artigianato locale. Il suo ministero ha varato un protocollo aggiornato per la prevenzione del Coronavirus specifico per le attività turistiche e programmato politiche di rilancio del settore appena le condizioni lo permetteranno. «È lodevole, l’elemento centrale però per la riuscita di questo piano (ministeriale) sono i turisti e sappiamo che nella migliore delle ipotesi li rivedremo tra più di un anno, forse due. Ora ci servono soldi per sopravvivere, per mangiare. Il governo deve fare di più per aiutare le famiglie in difficoltà e vi garantisco sono davvero tante, a cominciare dalla mia», si lamenta Bassam, guida turistica da marzo senza lavoro.

 Il governo Shttayeh non ha le risorse per la massa di disoccupati del settore privato generata dalla pandemia. Di recente ha incassato, dopo un lungo scontro con Israele, circa 800 milioni di dollari derivanti dalla raccolta di tasse e dazi per merci e attività produttive palestinesi destinate ai Territori occupati. Almeno la metà sono serviti a versare gli stipendi arretrati di diversi mesi ad oltre centomila impiegati pubblici. A loro volta gli stipendi hanno coperto i debiti contratti dalle famiglie per sopravvivere e per acquistare beni di prima necessità. In ogni caso aiuteranno poco o nulla il turismo su cui si fonda l’economia di Betlemme. «Al momento aiutiamo, con le poche risorse disponibili, quelli che sono in condizioni molto precarie mentre gli imprenditori possono richiedere in banca un prestito con interessi minimi che dovranno restituire solo quando la crisi sarà completamente terminata. Non si riesce a fare di più».

Quest’anno il miglior regalo di Natale per gli abitanti di Betlemme è l’aiuto diretto delle Chiese ai palestinesi cristiani, che si abbina ai sussidi per quelli musulmani garantiti dalle istituzioni di carità islamiche. «Ci chiedono cibo, di pagare le bollette dell’elettricità, di fornire le bombole di gas. Un quadro così sconfortante non si era mai visto negli ultimi anni. In questi giorni di Natale la speranza è l’unica cosa che su cui contano ancora molte famiglie» ci riferisce padre Rami Asakrieh, il parroco cattolico di Betlemme.