Nel racconto dell’Italia che si cerca di far trionfare, gli occupanti di immobili abbandonati – spesso di proprietà pubblica – devono essere trattati solo con la repressione e il taglio delle forniture dell’acqua e della luce. Quei cittadini sono gli ultimi degli ultimi. Non hanno partiti a fianco. Non esistono.

Roma ieri ha compiuto un miracolo. Un grande corteo di «invisibili» ha attraversato la città. Bambini costretti a vivere nell’angoscia di una situazione precaria, quotidianamente a rischio di sgomberi. Immigrati regolari che a causa dei lavori iper precari che svolgono non possono accedere al bene primario della casa. Un fiume di giovani impegnati nella difesa delle occupazioni e per affermare l’accoglienza.

Il miracolo è stato compiuto grazie agli occupanti sempre più consapevoli dei propri diritti, ai tanti comitati, associazioni e sindacati che, ciascuno per la propria parte, hanno tentato in questi anni di imporre il tema dell’abitazione e della città al centro dell’agenda politica. Il miracolo è potuto accadere anche grazie a un inedito clima di unità d’azione costruito in tanti incontri – si pensi alla festa «Roma non si ferma» in corso al parco del Caravaggio – in cui si è affermata una visione di una città inclusiva. Di fronte a questo muro di umanità che chiede il riconoscimento della propria dignità, una casa degna di questo nome e servizi di integrazione, la ricetta salviniana che alimenta solo il clima di odio e propone solo sgomberi ad ogni costo, dimostra tutta la sua insensata disumanità. È allora il momento di portare a soluzione l’emergenza casa a Roma.

Da più di dieci anni sono disponibili presso la regione Lazio oltre 180 milioni di euro che servirebbero per acquistare più di 1.000 alloggi. Quei soldi non vengono spesi per la rigidità di chi non vuole riconoscere i diritti di coloro che in questi anni sono stati costretti a risolvere il bisogno di casa con le occupazioni. Si è insomma imposta una rigida linea legalitaria che fomenta la guerra tra i poveri. Tra chi è inserito nelle graduatorie per le case, gli occupanti e gli alloggiati nei residence, vera vergogna sociale. Per mantenerli in vita, il comune spende ogni anno 25 milioni di affitti. In venti anni abbiamo buttato al vento 500 milioni. L’emergenza abitativa serve dunque per alimentare il clima di paura e per garantire a pochi speculatori immobiliari una rendita gigantesca.

C’è un solo modo per rompere questa intollerabile paralisi. Quello di costruire un programma straordinario che risolva l’emergenza abitativa senza preclusioni. Un programma a cui collaborino le amministrazioni dello Stato, il comune di Roma e la regione Lazio. Lo Stato deve metterci gli immobili pubblici abbandonati e le risorse economiche che mancano. Il comune deve programmare gli interventi. Negli anni ’80, l’ultima amministrazione di sinistra della città costruì in tre anni l’ultimo quartiere di edilizia popolare, Tor Bella Monaca, dove trovarono casa 5 mila famiglie che vivevano in baracca. La concentrazione di troppe famiglie fragili è oggi impensabile e occorre trovare tanti luoghi dove risolvere l’emergenza.

E la giornata di ieri ci dice anche che questa strada non è più sufficiente. Occorre coinvolgere nel programma straordinario anche tutti i soggetti che hanno svolto azione di supplenza delle amministrazioni pubbliche. I comitati, il terzo settore, i sindacati e le realtà sociali laiche e cattoliche che hanno tenuto viva l’idea di una città solidale. Non servono solo case, serve il riscatto sociale. Serve costruire una città solidale che vinca il degrado che soffoca Roma.