La settimana scorsa il premier ungherese Viktor Orbán (nella foto) aveva detto alla Radio pubblica che, data la gravità del fenomeno dell’immigrazione, sarebbe stato opportuno pensare a diverse opzioni, anche a quella di costruire una barriera al confine con la Serbia. È da lì che quest’anno sono entrati in Ungheria numerosi profughi, molti i kosovaro-albanesi che attraversano tutta la Serbia in fuga dall’indipendente Kosovo governato da un sistema di potere corrotto secondo la stessa Ue e l’Onu.
Ieri il ministro degli Esteri Péter Szijártó ha riferito, nel corso di una conferenza stampa, che il titolare del dicastero degli Interni, Sándor Pintér, ha ricevuto disposizioni dal governo di predisporre, entro mercoledì prossimo, una tabella di marcia per la costruzione di una barriera al confine tra i due paesi. Scopo dell’iniziativa è bloccare il flusso di migranti lungo la «rotta dei Balcani», diretti verso l’Europa occidentale. Si parla di una barriera alta quattro metri destinata a percorrere la frontiera ungaro-serba per 175 km. Fatto singolare il muro dividerebbe i magiari, cioè l’Ungheria dalla regione serba della Voivodina abitata in maggioranza da una popolazione di origine magiara che, come quella che vive in Romania, è considerata dal governo di destra di Budapest «costitutiva della nazione magiara», al punto che Viktor Orbán ha concesso a queste minoranze che vivono in altri Paesi il diritto di voto in Ungheria. Comunque ora dalle ipotesi si passa al concreto, tanto che per il prossimo primo luglio è prevista una consultazione tra i governi di Budapest e Belgrado sull’iniziativa. In quell’occasione le autorità serbe saranno informate in modo dettagliato sugli intendimenti dell’esecutivo ungherese.
Secondo quest’ultimo il provvedimento escogitato non viola in alcun modo le convenzioni internazionali. A questo proposito le autorità ungheresi fanno notare che esistono esempi di iniziative analoghe alla frontiera fra la Grecia e la Turchia, fra la Turchia e la Bulgaria, e in Spagna, nelle enclavi nordafricane, e che il loro progetto beneficia del sostegno della popolazione.
Già in più occasioni Orbán aveva avuto modo di dichiarare di considerare l’immigrazione un fenomeno negativo dai punti di vista economico, sociale e dell’ordine pubblico e di non gradire il fatto che genti di culture diverse si mescolassero ai suoi connazionali, precisando nei giorni scorsi che l’immigrazione è «pericolosa». A suo avviso l’Unione europea dovrebbe approntare e sostenere finanziariamente strutture al di fuori dei suoi confini, nelle quali i migranti che intendono entrare in Europa possano aspettare che le loro richieste di asilo vengano accettate o meno. Secondo Péter Szijjártó al summit dei ministri degli Esteri dell’Ue svoltosi martedì è apparso chiaro che l’Ungheria è tra i paesi membri quello più colpito dal problema dell’immigrazione. Il capo della diplomazia magiara ha aggiunto che il ministro dell’Agricoltura Sándor Fazekas ha informato il governo sul risultato di ricerche condotte presso gli agricoltori attivi nelle regioni di confine. Questi ultimi denunciano gravi problemi e disagi dovuti al continuo arrivo di immigranti.
Szjjártó ha voluto precisare il fatto che una delle sfide maggiori che l’Ue deve oggi affrontare è quella dell’immigrazione – un problema al quale i paesi membri cercano di trovare una soluzione -, ma che la strada verso il raggiungimento di un approccio comune appare ancora molto lunga. «L’Ungheria non può più aspettare – ha aggiunto – anche se spera sempre che si possa trovare una soluzione europea».
Da tempo, però, Orbán sostiene che la politica dell’Ue sull’immigrazione è andata incontro ad un fallimento annunciato e che perciò gli stati membri hanno il diritto di legiferare in materia a seconda delle loro specifiche esigenze. Ora l’opposizione di centro-sinistra e i suoi sostenitori criticano queste iniziative del governo, a partire dalla consultazione nazionale su immigrazione e terrorismo, e dai cartelloni apparsi nelle città ungheresi con frasi del tipo «Se vieni in Ungheria devi rispettare le sua cultura», frutti di una campagna che gli avversari di Orbán definiscono vergognosa.