Un passo indietro per comprendere la complessità mediorientale, in anni segnati dall’avanzata dei movimenti jihadisti in tutto il mondo, è necessario.
Risalire alla fonte è l’esercizio da compiere, arrampicandosi negli intricati sviluppi vissuti dal Medio Oriente che ha visto collassare un impero – quello ottomano – sostituito dalle brame coloniali europee e dal tentativo locale di individuare sistemi politici alternativi, dal socialismo baathista al panarabismo nasseriano.

È IL PERCORSO compiuto dal libro La trappola di Daesh (Rosenberg & Sellier, pp. 130, euro 14) di Pierre-Jean Luizard, ricercatore del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica. «Lo Stato Islamico o la Storia che ritorna», il sottotitolo del pamphlet. Che va dritto al punto: il lavoro di Luizard riparte dalla Storia, la radice degli eventi che oggi destabilizzano interi Stati-nazioni nella regione spingendo il contagio oltre le frontiere, al cuore del Vecchio Continente, apprendista stregone ieri e autorità in decadenza oggi. Ma, come spiega bene Alberto Negri nella prefazione della versione italiana, l’Isis – nemico odierno – appare ogni giorno di più come un mostro provvidenziale: come lo fu al Qaeda dopo l’11 settembre, il filo ininterrotto degli interessi globali conduce fino allo Stato Islamico, utile strumento di revisione forzata delle frontiere imposte un secolo fa dal folle accordo di Sykes-Picot.

LUIZARD HA CONCLUSO la stesura dell’opera alla fine del 2014. Prima, dunque, dell’arretramento subito da Daesh nei territori occupati di Iraq e Siria. Ma il suo lavoro non perde attualità né gli ultimi sviluppi ribaltano la visione proposta, perché il viaggio compiuto nel secolo scorso resta la colonna centrale dell’analisi: l’Isis – scrive l’autore – sovverte il Medio Oriente e si presenta come «effetto diretto di un ritorno brutale, e tuttavia prevedibile, della Storia».
Nel terzo capitolo, Luizard scava nelle radici del confessionalismo, a partire dal 1920 e dagli interessi personalistici britannici che ampliano le divisioni settarie in Iraq come la Francia lo fa nei neonati Siria e Libano. La risposta al colonialismo europeo è la nascita – all’interno delle società divise, dei clan e delle tribù artificialmente separate da confini tracciati con la penna – di movimenti vicini all’ideologia socialista: il baathismo è frutto del tentativo di conservare un’unità evaporata e il prodotto diretto dell’esodo rurale. I contadini senza terra si spostano nei centri urbani (a Baghdad nel quartiere di Sadr City), diventano operai e ridefiniscono nelle città i millenari legami di tribù e di sangue. E qua sta l’altra forza dell’opera: l’analisi socio-economica che si accompagna a quella tribale e confessionale.

FINO AD ARRIVARE alla fine del secolo scorso e all’inizio dell’attuale: da una parte sta l’Iraq soffocato dall’embargo e disintegrato dall’invasione Usa del 2003 e la caduta di Saddam («L’ultimo simulacro del sistema politico fondato dai britannici nel 1920»); dall’altra la Siria, mosaico di etnie e confessioni sparpagliate in tutto il territorio che Assad tenta di ricomporre coinvolgendo la borghesia e la leadership religiosa sunnita.

IN TALE CONTESTO l’avvento dell’Isis appare inevitabile come la trappola che rappresenta per gli Stati della regione. Non solo Damasco e Baghdad: l’autore esplora con attenzione le strette connessioni che uniscono i paesi che un ruolo decisivo hanno nella guerra regionale, dalla Turchia sostenitrice delle milizie sunnite e ora «contaminata» dal terrorismo alla Giordania ossessionata dal contagio frontaliero, dal Libano del fragile equilibrio del confessionalismo politico che l’Isis punta a minare all’Arabia Saudita costretta ad affrontare gli spettri che pensava di soffocare via islamisti (questione sciita e sovversione salafita).

Ed ecco che, cuore del libro, emerge la novità conservatrice dello Stato Islamico, misto di universalismo e localismo, attraente utopia di fondazione di un’entità statuale in opposizione all’ideologia globale di al Qaeda. Daesh invischia gli adepti nel sogno di una terrorializzazione del potere, uno Stato transnazionale che fa immaginare un futuro di indipendenza. Ma è solo la sua ultima trappola.