Si è molto discusso, in questi ultimi mesi, sul riavvio a settembre della nostra scuola, già provata da un fine anno complesso e difficile. Dibattito non sostenuto, però, da idee forti e condivise.

E invece proprio nel giorno del vertice tra governo e Regioni sull’inizio delle lezioni, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che voglio ricordare è stato anche Ministro del dicastero di Viale Trastevere, sottolinea l’importanza della pubblica istruzione. E lo fa nel commemorare il 150/mo anniversario della nascita di Maria Montessori: «La comunità della scuola è risorsa decisiva per il futuro della comunità nazionale».

Il Capo dello stato afferma che assolve questa funzione «proprio in quanto veicolo insostituibile di socialità per i bambini e i ragazzi: ne comprendiamo ancor più l’importanza dopo le chiusure imposte dalla pandemia. Esempi come quello di Maria Montessori esortano ad affrontare efficacemente le responsabilità di questo momento difficile».

In effetti, la prova a cui il nostro Paese viene chiamato è di quelle da far tremare i polsi. E non attenua, anzi ne amplifica la drammaticità, il doverla condividere, praticamente, con tutto il resto del mondo.

La riflessione di Mattarella parte della scuola, centro della vita delle generazioni future, colte nel momento di un passaggio epocale che già di per sé è, in qualche modo violento, portato in grembo da una globalizzazione e da una dittatura digitale che, ormai, ha travalicato tutti gli argini conosciuti un tempo.

Si dice che la scuola sia cambiata e stia cambiando sotto l’urto della crisi. In realtà, la scuola è già da tempo cambiata, si è trattato forse della parte di paese più pronta, non tanto dal punto di vista delle dotazioni e degli apparati tecnici, ma dell’attitudine mentale dei suoi professori e studenti. Una scuola, in questi ultimi venti anni almeno, scossa da riforme e controriforme sull’effetto delle quali si è riflettuto assai poco.

Eppure la scuola italiana ha mostrato sempre, con orgoglio e senso patriottico, potremmo dire, di essere preparata ad ogni sfida. Verrebbe da consigliare di lasciarla in pace, essendo perfettamente in grado di amministrarsi da sola. E non parliamo solo di ammodernamento di strutture, strumenti e programmi, pure indispensabili. La capacità di lavorare a distanza è un fatto, che, certo, se non si può tradurre in una nuova veste, – non possiamo abolire le scuole come luogo fisico – tuttavia suggerisce e deve spingere tutti a prendere in mano, senza paura, gli strumenti digitali a cui i nostri ragazzi sono ormai più che abituati, e a trasformarli, anche in questo caso, in opportunità da coltivare con intelligenza, non come episodi di emergenza. Finita la crisi, insomma, si potrà anche tornare al compitini classe su foglio protocollo, ma anche no.

Con tablet computer ed anche smartphone i ragazzi sono capaci di fare cose straordinarie. Ma la tentazione di ogni governo di mettere il cappello sulla scuola deve essere cancellata una volta per tutte. Soprattutto da parte di governi che non hanno mai investito seriamente nella scuola, non hanno affrontato con convinzione e risorse la questione dell’edilizia scolastica, né il tema dei docenti, a  partire dalla volontà di risolvere la questione del precariato, per citare solo alcuni dei grandi problemi del mondo dell’istruzione.

Questa potrebbe essere un’altra delle opportunità di questa crisi. Non si può varare una riforma ogni due anni, senza pensare al quadro generale. Non si possono cambiare le regole per insegnanti e studenti, ad ogni stormir di foglia. La scuola porta con sé, ed è quanto mai opportuno usare il termine, gli anticorpi per resistere al suo naturale invecchiamento e per produrre nuova cultura, nuova formazione, un nuovo futuro per i nostri ragazzi e ragazze.

È questa «buona scuola» che dà sapere e libertà, che è strumento di emancipazione sociale. Ed è quell’articolo 3 della nostra Costituzione, che ce lo dice a chiare lettere. Come a chiare lettere ha ribadito il Presidente Mattarella, nel ricordare che è sulla scuola e sui suoi protagonisti che occorre investire, come leva essenziale per permettere al Paese di ritornare a crescere.