La rappresentazione digitale del mondo restituisce sempre una visione deformata della realtà che può essere variamente qualificata come «iperrealtà» o «realtà aumentata». E in questa «produzione di mondo» gli umani sono irrilevanti data la loro imperfezione, lentezza e per la loro caratteristica di cadere con frequenza in errore quando svolgono un compito. Per questo, sarebbe meglio sostituirli con computer, robot, programmi informatici basati sull’intelligenza artificiale, espressione usata ormai per indicare tante, contraddittorie cose.

È LA GRANDE NARRAZIONE che, superati i confini della Silicon Valley, è diventata una ideologia globale. Nella valle del silicio imprese, manager, scienziati di varie discipline, informatici, capitalisti di ventura hanno lavorato e lavorano per costruire il futuro, accumulando ricchezze e mantenendo potente una nazione che altrimenti presenterebbe crepe profonde del legame sociale e della sua tenuta come stato-nazione. Lavorano cioè a «siliconizzare» il mondo, suscitando la stesura di progetti imitativi in giro per il pianeta.
In Cina, infatti, stanno provando da dieci anni a riprodurre in diverse regioni cloni della Silicon Valley. Lo stesso in India, Francia, Germania, Italia, Inghilterra, Islanda, Olanda, Corea del Sud, Brasile. I risultati sono spesso deludenti, ma questo non ferma la corsa a imitare il modello presentato come la panacea di tutti i mali. E non sono pochi, ormai, i filosofi, gli antropologi, gli economisti che vedono nell’uso estensivo e intensivo delle tecnologie digitali il simbolo di una nuova era, l’antropocene, che immagina il dominio indiscusso degli umani sul pianeta a spese delle altre specie viventi, determinando trasformazioni irreversibili nell’ecosistema planetario.

DIGITALE E ANTROPOCENE sono quindi parole chiave per comprendere la realtà, cogliendo due nodi difficili da sciogliere che hanno però il potere evocativo di prospettare una grande trasformazione che non conosce pause, bensì continue accelerazioni a geografia variabile. E se gli Stati Uniti sono l’impero hi-tech per antonomasia, è altrettanto evidente che dall’altra parte del Pacifico ci sono due paesi (dove vivono oltre due miliardi di persone) che stano spingendo il pedale del gas per aumentare la velocità delle rispettive locomotive economiche, allo scopo di diventare il centro di gravità permanente del nuovo millennio, appannando così le superfici levigate e patinate degli Usa. Stesso processo nella vecchia Europa, con Germania, Francia che impongono piani triennali, quadriennali su intelligenza artificiale, miniaturizzazione dei chip, sviluppo dei Big Data. Insomma, a dispetto della crisi globale, delle diseguaglianze sociali, della povertà, del degrado ambientale, tutto il pianeta sempre aver imboccato la strada di un futuro all’insegna del silicio.

NE SONO CONVINTI J. R. McNeill, Peter Engelke e Eric Sadin. I primi due hanno scritto la Grande accelerazione (Einaudi, pp. 253, euro 22), mentre il terzo studioso ha mandato alle stampe La siliconizzazione del mondo (Einaudi, pp. 208, euro 17,50). Due libri complementari nelle tesi che esprimono. L’uno inizia dove finisce l’altro, e viceversa, nel senso che l’era dell’antropocene ha come esito obbligato proprio il regno del digitale, che assume i problemi del dominio assoluto dell’uomo sulla natura per risolverli, attraverso un sistema di macchine connesse tra loro e riducendo al minimo indispensabile l’intervento umano.
I due autori de La grande accelerazione invitano alla prudenza, a non restituire una visione dove l’apocalisse ambientale – e dunque anche sociale – sia l’esito obbligato. Segnalano inoltre il fatto che geologi, chimici, biologi, «naturalisti» non concordano sugli aspetti utilizzati per parlare di un’era dell’antropocene. Non sono negati l’esistenza del riscaldamento globale, l’inquinamento, la riduzione delle materie prime, il progressivo esaurimento delle scorte di combustibili fossili. E non è ridimensionata neppure la riduzione della biodiversità con la conseguente scomparsa di specie umane e vegetali.

I DUE STUDIOSI sostengono che sono tutti fenomeni che stanno conoscendo segnali di una inversione di tendenza nella dipendenza da petrolio, uranio e carbone e che questo può arrestare il riscaldamento globale. L’uso delle energie rinnovabili sta diventando una alternativa appetibile per paesi grandi o piccoli: tutto ciò può provocare l’arresto della scomparsa di piante e animali, mentre sovrappopolazione – sul pianeta Terra siamo più di sette miliardi di uomini e donne – conosce un significativo rallentamento con indici di natalità ridotti al di sotto dello zero in molti paesi nel nord del pianeta e ridotti alla metà in varie realtà nel sud della Terra.
Oltre a essere apprezzato per il rifiuto della versione apocalittica sull’antropocene, La grande accelerazione è una preziosa fonte di dati usati nelle ricostruzioni di come la grande accelerazione dello sviluppo economico abbia cambiato radicalmente l’ecosistema planetario.

RIMANE PERÒ ASSENTE il legame tra antropocene e capitalocene sviluppato, ad esempio, da Jason Moore (i suoi libri sono stati pubblicati da ombre corte), Donna Haraway, Rosi Braidotti e molti altri e altre (una mappa delle riflessioni sull’antropocene è sviluppata nel volume Nell’Antropolocene di Gianfranco Pellegrino e Marcello di Paola pubblicato da DeriveApprodi).
Chi mette decisamente in rapporto l’antropocene con la rivoluzione del silicio è il testo di Eric Sadin. Il filosofo francese devia però dal sentiero scientista definito da molti teorici dell’antropocene, convinto che il futuro della specie umana possa essere compreso solo a partire da una analisi su come gli umani producano le condizioni della loro esistenza. Da qui l’uso dell’espressione «liberismo digitale» rispetto quelle in auge tra le due sponde dell’Atlantico per sottolineare che la «siliconizzazione del mondo» è una ideologia maturata nella Silicon Valley dove il progresso è considerato un fenomeno naturale, come le stagioni e dove gli umani sono considerati irrilevanti nel suo dispiegarsi.
Per questo vanno sostituiti dalle macchine, maggiormente capaci nello svolgere con efficienze e senza errori di sorta alcune operazioni complesse, come la gestione dei Big Data, di svolgere velocemente montagne di calcoli, di essere precise nell’elaborare simulazioni della realtà, fattore questo fondamentale per progettare palazzi, ponti, ma anche per rappresentare il funzionamento del Dna o per compiere operazioni chirurgiche a distanza.

SONO SOLO ALCUNE delle operazioni che fanno i computer attualmente. E molto altro potrebbero fare nel futuro. A sostenerlo sono manager e guru del liberismo digitale, che considerano la digitalizzazione del mondo al pari di una missione colonizzatrice per un mondo imperfetto.
Eric Sadin volge tutto il libro non tanto a illustrare quali siano i settori di punta del capitalismo delle piattaforme o dove siano dirottati gli investimenti dei capitalist venture, quanto nel segnalare che la weltanshauung – che da Silicon Valley si sta irradiando in tutto il mondo – sia un miscellanea di suprematismo bianco, darwinismo sociale, culto scientista delle macchine, meritocrazia e fede incrollabile nel libero mercato.

DUNQUE UNA CONCEZIONE dei rapporti sociali che divide gli umani tra vincenti e perdenti. I primi, gli unici che meritano di sopravvivere alla progressiva automazione delle attività umane, sono divisi in caste. Per gli altri, basta un po’ di carità o forme miserabili di reddito garantito. E se questo spiega la conversione al reddito di cittadinanza di molti imprenditori della Silicon Valley e del capitalismo delle piattaforme, più significativa è la miscellanea tra fantascienza, fantasy, liberismo economico, dove termini come rischio, retorica della frontiera da conquistare prima e da considerare un limite da forzare successivamente.
La siliconizzazione del mondo è da considerare una promessa di futuro dove ogni uomo e donna può giocare la sua partita, sapendo tuttavia che la vittoria non è certa e chi perde sarà condannato all’anomia e a vivere in zone permanentemente eterodirette dai vincenti. È una distopia che ha però il potere di costruire consenso non solo tra gli imprenditori, ma anche tra gli esponenti politici e gli intellettuali. E anche quando la crisi economica manda in frantumi lo specchio dei desideri, per le teste d’uovo della «siliconizzazione del mondo» la crisi è una insieme di possibilità per radicalizzare alcune tendenze in atto.

LA TESI DI SADIN evocano quelle di Gilbert Simondon sulle «tecnofanie» (i miti nati nella diffusione e nell’uso delle tecnologie) e di Jacques Ellul sui «tecnosistemi», miscelate tuttavia in una griglia analitica dove è centrale il divenire della realtà. Non è un caso che la parola debba passare al Politico – non alla politica, ormai ancella dell’ideologia neoliberista, ma a quella capacità di uomini e donne di prendere decisioni in libertà – , perché è solo in quella dimensione che la grande accelerazione dello sviluppo capitalistico può essere sottoposta alla salutare critica della sua economia politica. Ma su questa frontiera nessuno dei due libri posa lo sguardo, preferendo aggirarsi tra le macerie delle promesse non mantenute.