Quando entriamo nell’aula della Squola di Babele di Julie Bertuccelli che sarà nelle sale il 23 aprile, la classe di accoglienza per giovani migranti a Parigi, ci troviamo in uno dei tasselli di un meccanismo scientifico per costruire la società del futuro. Certo anche in questo caso, come da noi, è la professoressa che fa la differenza, ma vedremo come un po’ alla volta i suoi alunni sbocciano mostrando tutte le loro potenzialità: la piccola cinese troppo timida, la polacca che vuole diventare cantante, la bravissima Andromeda, il cileno Felipe che non all’inizio non vuole imparare il francese per non dimenticare il castillano. Bertuccelli, già assistente di Otar Iosseliani (le chiediamo notizie di Iosseliani, sta già montando un nuovo film) e anche di Kieslowski e di Tavernier presenta il suo La cour de Babel che in italiano, distribuito dalla Kitchen Film, ha mantenuto le incertezze di una nuova lingua da studiare.

I suoi allievi hanno tutti una presenza così decisa da fare pensare a un cast: «In realtà non ho scelto gli alunni, dice, ho scelto quella classe perché c’erano alunni che venivano da nazioni diverse, ognuno con una storia, come i rifugiati politici o il ragazzo di famiglia borghese venuto in Francia per studiare violoncello al conservatorio. Anche in un’altra classe avrei trovato le stesse differenze, ogni classe è un microcosmo, ma ho scelto quella perché quell’insegnante rappresenta l’ideale dell’accoglienza». Come funziona il sistema dell’inserimento in Francia? appare così diverso da quello casuale dell’Italia: «Quando i ragazzi arrivano in Francia ci sono queste classi di riferimento che li aiutano a capire il meccanismo della scuola se non sono per nulla scolarizzati o li aiutano a inserirsi un po’ alla volta nel corso di un anno frequentando oltre che le lezioni di francese anche le altre materie. Dopo un anno entrano nelle classi normali e a poco a poco si integrano sempre di più. In Francia ci sono 800 classi di inserimento dalle elementari, alle medie al liceo. Non sono sufficienti perché mancano nelle città più piccole, dipende dal numero di immigrati presenti».

Ci sono alcune scene che si riferiscono alla percezione delle diverse religioni, un tema piuttosto attuale: «È stata una scena del tutto spontanea, perché un’etnologa aveva chiesto ai ragazzi di portare gli oggetti più cari e loro avevano portato chi la Bibbia, chi il Corano o il velo e così è nata la discussione sulla religione, sul perché ci sono religioni diverse per culminare con l’ipotesi che forse Dio non esiste e che il mondo è un punto interrogativo. Questo mostra come in una scuola laica ognuno può esprimere i suoi pensieri».

La sua presenza nella classe, spiega è stata molto discreta, solo lei e il fonico, una presenza diventata un’abitudine per i ragazzi che non ha sconvolto il ritmo delle lezioni. Anzi quando qualche alunno cercava di mettersi troppo in mostra lei spegneva la telecamera. Nella tradizione del cinema francese tanti sono gli esempi di film nelle scuole, da Vigo, a Truffaut, a Philibert, a Cantet… «La scuola è al centro della vita in Francia, ma nel mio la differenza è che ci sono gli immigrati e in più ho scelto la classe di adolescenti perché trovo affasciante oltre al passaggio tra due culture anche quello tra due età della vita. Ognuno dei ragazzi all’inizio si sentiva solo e un po’ alla volta hanno scoperto che tutti soffrivano di solitudine, che tutti si sentivano diversi e questo, man mano che imparavano il francese e raccontavano le loro esperienze, li ha fatti sentire un gruppo». Le reazioni nella Francia di Le Pen? «È duro lottare contro il razzismo, questo è un film che si mostra nelle scuole e i ragazzi si rendono conto che quei ragazzi sono come degli eroi perché hanno sofferto e avuto esperienze che mai avrebbero immaginato. Il mondo si può cambiare a poco a poco, io non faccio film militanti ma spero che questo ci possa avvicinare gli uni agli altri».