Il Bulletin of Atomic Scientists riportava nei primi giorni del 2020 le parole pronunciate dal sindaco dell’Isola dei Canguri, paradiso della fauna selvatica australiana decimata dal fuoco: «La costa nord sembra colpita da una bomba atomica». Ogni anno 3-5 milioni di chilometri quadrati di superficie terrestre sono interessati da incendi. Dagli anni 1980 il fenomeno devasta anche le foreste pluviali tropicali che tipicamente non bruciavano su ampia scala.

Nel 2020 l’inquisizione contro le foreste sembra ripetere il suo copione. Nel 2019 di incendi si è parlato come mai prima. Ma non è bastato.

AMAZZONIA. La stagione in corso potrebbe rivelarsi peggiore di quella precedente: già migliaia i roghi. Si incendiano le aree deforestate nei mesi precedenti e queste nel 2020, secondo gli studiosi brasiliani dell’Ipam sarebbero pari a 4.400 kmq. Un ritmo mai visto prima. Non si tratta di un’emergenza da contrastare stagionalmente, solo durante la stagione secca. Le cause sono economiche (peggiorate poi dal mutamento del clima): i roghi puliscono preparando l’area ai pascoli o all’agricoltura. Anche nel Gran Chaco, il secondo sistema forestale dell’America latina, che ha perso centinaia di migliaia di ettari a causa del taglio e dell’espansione della frontiera agricola, soprattutto per la produzione di carne bovina e di soia. Quest’ultima è al centro di due dossier di Greenpeace. La carne di manzo arriva in quantità massicce dal Brasile in Europa e anche in Italia, insieme alla soia.

AFRICA SUBSAHARIANA. Ogni anno durante la stagione estiva si contano migliaia di incendi nel bacino del Congo (il secondo polmone verde del mondo), soprattutto nella foresta tropicale secca e nella savana. Il tradizionale «taglia e brucia» (per sgombrare il terreno prima delle piogge e della semina) si applica da fine giugno a ottobre ma i fuochi, pur piccoli, spesso sfuggono al controllo e arrivano ad attaccare la foresta pluviale. Inoltre a causa dei cambiamenti climatici i periodi di siccità sono più frequenti: così si deve disboscare di più per avere maggiori chance di raccolto. Il fuoco divampa anche per i conflitti armati, le attività estrattive e la caccia. Comunque per il World Resource Institute, «è impossibile ridurre gli incendi senza incentivare l’agroecologia». E il documentario Up in smoke, promosso da Oxfam, esplora tecniche agricole sperimentate in Honduras capaci di aiutare un milione di contadini poveri a evitare il ciclo perverso dell’agricoltura basata sul fuoco.

INDONESIA. Gli incendi del 2019, i peggiori dal 2015, hanno percorso oltre 320 mila ettari, soprattutto in Sumatra e Kalimantan (Borneo indonesiano). Le cause: il taglia e brucia per l’agricoltura ma anche, da parte di grosse imprese, per le monocolture come palma da olio e cellulosa. Dal 2015 è vietata la piantumazione sulle torbiere bruciate, ma gli ambientalisti denunciano molte connivenze.

AUSTRALIA. Negli ultimi quattro mesi del 2019 e agli inizi del 2020, gli incendi hanno interessato, oltre alla boscaglia, anche ecosistemi forestali più umidi e in genere non interessati dal fuoco. Sono bruciati circa almeno 85 mila kmq di foreste, e altri 10 mila kmq di altre aree. Intensità, portata, ampiezza, simultaneità fuori dall’ordinario. Come andrà la prossima stagione?

SIBERIA. Le fiamme del 2020 si sono levate se possibile ancora più alte che nel 2019. Il fuoco ha già condannato quasi venti milioni di ettari di taiga nella Grande foresta del Nord. Avverte Greenpeace: «La temperatura media della Siberia artica è stata di oltre 5 gradi sopra la norma. L’Artico si sta riscaldando più velocemente del resto del pianeta, con danni incalcolabili.» Nella foresta boreale i fulmini giocano un ruolo importante, tanto più con l’aumento delle temperature, dei venti e della siccità. Ma, secondo gli inquirenti, c’entra anche il dolo umano, magari per coprire il prelievo illegale di legname.

CALIFORNIA. L’anno scorso, secondo l’unità Cal Fire del Servizio forestale statunitense, le superfici percorse dagli incendi sono state superiori ai 100 mila ettari (quasi 8 mila i focolai); quest’anno – ma la stagione è lunga – sono già migliaia gli ettari bruciati e le persone temporaneamente evacuate. La vegetazione resinosa si presta al fuoco ma, secondo la Columbia University, l’aumento delle temperature ha moltiplicato per 5 la superficie «candidata» alle fiamme.

E L’ITALIA? L’Effis (l’European Forest Fire Information System) conta oltre 20.395 ettari di boschi colpiti nel 2019; tre volte più del 2018 ma un sesto rispetto a due anni fa. Il 60% dolosi, il resto colposi. Secondo l’ultimo rapporto nazionale disponibile sullo stato delle foreste e del settore forestale, dal 1980 al 2017 gli ettari interessati dal fuoco sono stati oltre quattro milioni. Nell’area mediterranea sono andati peggio solo Spagna e Portogallo. Ardono nel 2020 diverse aree boscate, anche nei parchi.

Numerose le vittime umane, oltre agli ingenti danni materiali. In Australia una trentina di morti fra i quali diversi vigili del fuoco (e decine di migliaia di case e aziende distrutte). Ma con il fuoco, molte comunità indigene nelle foreste tropicali hanno perso territorio, cibo, casa, fondi di reddito: il poco che rimaneva dopo la secolare emarginazione. Il leader indigeno Raoni Metuktire, 90 anni, ha detto: «Voi, i popoli non indigeni, state bruciando anche le piccole parti di territorio che ci avevate lasciato» (Adista, n. 42, 2019).

UN’ECATOMBE DI ANIMALI E PIANTE. La prospettiva più cupa è la distruzione irreversibile nelle foreste tropicali umide, ricchissime di biodiversità animale e vegetale. Ma anche le vegetazioni più resistenti si rigenerano a fatica, in caso di ripetuti fuochi e lunghe siccità. Quanto alle vittime animali, una stima – catastrofica – è stata tentata solo per l’Australia.

Secondo uno studio promosso dal Wwf, considerata la presenza media di fauna per ogni ettaro di terra bruciata, gli incendi e la successiva perdita di habitat potrebbero aver causato la morte di 143 milioni di mammiferi, 180 milioni di uccelli e oltre 2 miliardi di rettili. Riferisce la rivista online Reporterre che 114 specie minacciate avrebbero perso metà dell’habitat. In Amazzonia, il bradipo, mammifero erbivoro lento e arboricolo e dunque vittima candidata, come il koala australiano, non ha ricevuto le stesse attenzioni mediatiche. In Indonesia sono gli orangutan la specie più a rischio. Nella remota Siberia il fuoco ha colpito alci, orsi, lupi, gufi.
Gli incendi sono climalteranti. Sia perché rilasciano anidride carbonica sia perché uccidono gli alberi che la assorbono con la fotosintesi. Secondo un approfondimento su Nature Geoscience, il fuoco che brucia la biomassa provoca ogni anno l’emissione di 8 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Nelle torbiere dell’Indonesia sono stoccate 55 miliardi di tonnellate di carbonio; l’estate incendiata del 2019 potrebbe averne rilasciato un miliardo.
Il fumo rende l’aria pericolosa da respirare. Nel 2015 – annus horribilis – lo smog provocato dagli incendi nelle torbiere indonesiane potrebbe aver provocato la morte prematura di 100.000 persone (studio delle università di Harvard e Columbia).

Il particolato aiuta la fusione dei ghiacciai. Uno studio pubblicato su Scientific Reports relativo al 2007-2010 ha monitorato il fenomeno delle particelle emesse dalla combustione di biomassa amazzonica e arrivate con il vento sul ghiacciaio Zongo in Bolivia (i ghiacciai andini sono riserve d’acqua indispensabili). La neve, oscurata, riflette meno luce e accentua il rischio di fusione. Idem per le particelle nere degli incendi boreali arrivate fino all’Artico. E dall’Australia il fumo è arrivato a colorare i ghiacciai neozelandesi. Le ceneri finiscono nei corpi idrici con le (risolutive) piogge. Viste le enormi quantit, danneggiano la fauna acquatica, fino al mare. Così il fuoco si vendica dell’acqua che lo ha spento.