Al cohousing, nella ventata di gelo siberiano, in questo quieto pomeriggio accanto al fuoco, rivediamo la “carta degli intenti”. E’ con noi Tina, architetto di cohousing. Dopo un vociare sulla caldaia che si blocca, le lamentele per chi fa tutto e chi niente, ci allarghiamo sui ricordi in cerca di futuro. Ricordi su un gruppo di amici che negli anni ‘80 sperimenta un modo di vivere alternativo al modello familiare ed alla metropoli, che ad oggi si è organizzato come “cohousing”, e che insieme alla costituzione di un’azienda agricola ed un centro studi culturale, chiamiamo il Progetto Orosia. Del senso di questa storia Pier ne fa questione di epoca e generazione, di crisi mondiale che ha reso problematica una modernità fatta di ritmi cittadini, famiglie nucleari e single dal punto di vista economico, ambientale e relazionale. Cohousing come alternativa creativa dell’abitare. Tina ne racconta gli archetipi architettonici. Il modello danese prevede unità indipendenti intorno alla Common House centrale con servizi collettivi; Il modello svedese, più urbano, vede un edificio singolo a più appartamenti con spazi a piano terra dedicati a funzioni collettive, l’olandese soluzioni intermedie. Oggi il modello si è esteso nell’immaginario collettivo. Tina cita il libro “Cohousing” di Jacopo Gresleri,architetto, che, con preziosa bibliografia internazionale, spiega che il cohousing è differente dai Social housing, Unitée d’habitation, Tulou, e risale alle sue radici nel XIX sec: falansteri, Kibbutz… Data importante è il 1903 quando, secondo le teorie femministe di Lily Braun, una cucina serve 25 appartamenti a Copenaghen e 60 a Stoccolma. Dagli anni ‘70 il modello esplode in formule nuove che il libro illustra con un atlante di esperienze internazionali di rilievo. Le Viviendas Dotacionales spagnole, per giovani e vecchi, sono supportate da amministrazioni pubbliche. I Baugruppen tedeschi e gli Habitat Groupe francesi sono cooperative di privati con obbiettivi di qualità e risparmio. E anche se couhousing non è panacea dei problemi residenziali, nell’introduzione, Paolo Ceccarelli allarga lo sguardo all’abitare degli immigrati, delle masse di profughi che si insediano con cultura diversa nei nostri paesi: occasione per un pensiero rinnovato di abitare condiviso. L’Ernesto ritorna al senso antico di cohousing come “comunità intenzionale” di persone che si scelgono per affinità di valori, dove è fondamentale il livello di consapevolezza, impegno e determinazione. Questa è stata l’idea forte di questo gruppo di amici, idea che è entusiasmante vedere evolversi in nuovi modi possibili di un abitare insieme solidale e pacifico.