Le nomine di nuovi cardinali costituiscono momenti di passaggio delicati per ogni pontificato. Si ridisegna il Collegio cardinalizio e, di conseguenza, viene modificata anche la composizione del futuro Conclave.

La lista diffusa dal Papa domenica scorsa rappresenta un’indicazione abbastanza chiara della coerenza con la quale Bergoglio intende proseguire il suo rinnovamento della Chiesa. Composta da 13 nomi, può essere oggetto di letture diverse e ha solleticato per questo la fantasia dei vaticanisti.

Innanzitutto, con il prossimo concistoro, il sesto sotto questo Papa, il numero dei cardinali elettori scelti da Bergoglio supererà la maggioranza assoluta.

Va notato poi che, nonostante l’eterogeneità dei profili, alcuni nuovi ingressi sembrano muoversi più chiaramente lungo le linee guida del pontificato: missionarietà, dialogo inter-religioso, impegno per i migranti, e sostegno alla causa ecologista, alla quale sarà consacrato il prossimo Sinodo per l’Amazzonia.

Anche la provenienza geografica conferma la spinta verso l’internazionalizzazione delle strutture.

Ci sono gli arcivescovi di Rabat e di Jakarta e gli esperti del dialogo con l’islam. C’è il guatemalteco Ramazzini Imeri, vescovo di Huehuetenango, che è noto per le sue battaglie accanto alle popolazioni indigene assediate dalla corruzione politica e dal capitalismo estrattivo.

La vicinanza ai movimenti sociali è tratto saliente anche della biografia del gesuita Michael Czerny – attuale sottosegretario della sezione migranti del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale –, in prima fila nella rete con i movimenti popolari, e segretario speciale nel prossimo Sinodo.

Per arrivare ad un’altra nuova berretta rossa, quella dell’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, un nome caro anche a questo giornale.

Romano, classe 1955, «don Matteo», come viene comunemente chiamato fin dai tempi della sua «missione in trincea» nei quartieri popolari della Capitale, si è fatto le ossa nella comunità di Sant’Egidio, di cui è stato anche assistente ecclesiastico. Si è battuto per il riconoscimento del diritto di cittadinanza delle seconde generazioni e sostiene fin dal suo esordio il progetto dei «corridoi umanitari», portato avanti insieme alla chiesa valdese.

La sua esperienza internazionale si è articolata nella mediazione in Mozambico, Congo, Guinea e Burundi. A Bologna si è fatto conoscere e apprezzare da subito, anche al di fuori della comunità cattolica, per la semplicità del suo stile, la propensione al dialogo sincero e la sua credibilità.

Molto attivo sul piano politico, nel 2016 ha mediato con le autorità in occasione dello sgombero abitativo di via Irnerio, per poi intervenire nuovamente, quando a essere attaccato è stato il centro sociale Làbas, con cui era stata avviata una collaborazione in materia di accoglienza migranti.

Su questo terreno, dopo il decreto sicurezza, si consumava sulla pagine della stampa locale un vivace scambio di battute con il ministro Salvini.

Pochi mesi prima, la visita al centro sociale Tpo per la discussione, insieme alla nostra Luciana Castellina, del libro Terra, Casa, Lavoro, contenente i discorsi pronunciati da Papa Francesco ai movimenti popolari mondiali.

Si trattava della prima volta di un vescovo in uno spazio sociale occupato, e per dibattere di un libro diffuso dal manifesto.

Poche settimane dopo, sempre su questo giornale, il messaggio affettuoso in ricordo di Valentino Parlato, a cui lo legavano la passione per le sorti del continente africano. Scriveva Zuppi: «Il suo interesse verso l’umano era di parte e sopra le parti, sempre con intelligente e aperto dialogo».

Tratti profondi in comune a due biografie diversamente eredi del Novecento.