La realtà è più disperata, o furba, delle statistiche. Prendiamo la povertà assoluta. Secondo l’Istat, nel 2010, una famiglia formata da una coppia di anziani residenti a Milano era “assolutamente povera” se sosteneva una spesa mensile per consumi pari o inferiore a 964 euro. Avercene! Perché oggi, dopo quattro anni di crisi, sempre l’Istat ci racconta che in Italia ci sono – almeno, aggiungiamo noi – 1 milione e 130 mila nuclei familiari senza alcun reddito, cioè milioni di persone che sopravvivono senza guadagnare nemmeno un euro al mese. Zero soldi sudati. Come chiamarle, visto che le famiglie assolutamente povere dovrebbero raggranellarne circa 1000 al mese? Forse reiette, come si diceva nei secoli dove la povertà era normale e dunque meno fastidiosa da sopportare per i benestanti.

Il nuovo dato statistico dell’Istat, se ripulito dagli ereditieri o dai rampolli disoccupati della borghesia proprietaria che almeno affittano case per stipendiarsi l’esistenza, dice di una fetta sempre più consistente di italiani senza lavoro che è impossibilitata a mettere insieme il pranzo con la cena, e suggerisce che è sempre la famiglia l’unico sostegno per chi sopravvive giorno per giorno (un fratello o una sorella, una madre pensionata, uno zio a posto, o una piccola eredità di sessanta metri quadrati da far fruttare).

Di questi 1 milione e 300 mila nuclei familiari, quasi mezzo milione (491 mila) corrisponde a coppie con figli, mentre 213 mila sono madri sole. I nuovi poveri sono moltissimi, perché il numero di famiglie dove tutti i componenti sono disoccupati è cresciuto del 18,3% in un solo anno (+175 mila rispetto al 2012). Il confronto è drammatico considerando l’anno precedente: dal 2011 al 2013 si è verificata una crescita del 56,5%, le famiglie dove non circolano soldi sono cresciute più del doppio. In numeri assoluti le famiglie senza un reddito erano 955 mila nel 2012 e 722 mila nel 2011. Andando indietro negli anni si scopre che l’aumento della povertà assoluta è una costante: nel 2007, l’anno che ha preceduto la crisi a livello mondiale, le famiglie che rientravano nella categoria dei “senza reddito” erano 466 mila. Dopo sette anni la cifra è più che raddoppiata.

Sono storie comuni. Anziani fuori da mercato del lavoro, pensionati con figli studenti o disoccupati, madri che devono mantenere i figli, giovani coppie senza un lavoro. Come sempre, nella classifica della sofferenza primeggia il sud Italia: sono 598 mila le famiglie dove tutti risultano disoccupati, più del 50% del totale. Nel nord invece sono 343 mila, nel centro 189 mila. Il fenomeno, comunque, è in aumento dappertutto.

L’Istat, se vogliamo cambiare prospettiva puntando lo sguardo su quelli che bene o male ce la fanno, fornisce un altro dato del 2013 che dovrebbe far riflettere il governo che pensa di uscire dalla crisi regalando 80 euro in busta paga – a chi ce l’ha – un mese prima delle elezioni: il numero dei nuclei familiari con tutti i componenti che avevano un lavoro nel 2013 (13 milioni e 691 mila) è calato di 281 mila unità in un anno. Significa che il 2% si è pericolosamente avvicinato a quella soglia che fino a qualche anno fa molti non avevano nemmeno la fantasia di evocare. La povertà. Stando così le cose, ognuno fa e spende quel che può. E sono nuovi dati, questa volta sui consumi. La recessione, constata questa volta uno studio di Unimpresa, ha cambiato radicalmente le abitudini al supermercato: il 71,5% degli italiani risparmia sul cibo e rispetto al primo trimestre dell’anno scorso sono più che raddoppiati gli acquisti di offerte speciali (e 5 persone su 7 hanno fatto la spesa almeno una volta in un discount).