Dimenticate Ramy e Adam, i due «piccoli eroi» di 13 e 12 anni che a San Donato Milanese hanno salvato i loro compagni di scuola dal gesto di un folle che voleva fare una strage. E scordatevi anche Great Nnachi, campionessa di salto con l’asta che vorrebbe tanto gareggiare con i colori dell’Italia ma non può. Loro, che si sentono italiani ma non possono dirsi italiani perché figli di immigrati, ce l’hanno fatta (nel caso dei primi due) o probabilmente ce la faranno a diventare cittadini del nostro Paese grazie al loro coraggio e agli indubbi meriti sportivi di Great.

Ma tutti gli altri? Quelli che non hanno i riflettori della cronaca accesi sulla propria vita ma ogni mattina si svegliano, fanno colazione, vanno a scuola oppure al lavoro, che parlano in dialetto, tifano per la tua stessa squadra di calcio e magari imprecano e pregano come te perché sono nati in Italia oppure ci sono arrivati da bambini al seguito dei genitori, potranno diventare italiani solo una volta maggiorenni. Si chiamano seconde generazioni, ma non sono seconde a nessuno visto che sono in tutto e per tutto uguali ai loro coetanei italiani. E ormai siamo arrivati alla terza generazione, ai figli dei figli degli immigrati che già cominciano a vedersi tra i banchi di scuola. Non sono pochi: 826 mila nell’anno scolastico 2016-2017 secondo i dati del ministero dell’Istruzione, il 9,4% della popolazione studentesca complessiva e 11 mila in più rispetto all’anno scolastico precedente. Per lo più sono maschi (52% rispetto al 48% di femmine) e la maggioranza di loro, il 61% è nato in Italia, «una quota cresciuta del 35,4% nell’ultimo quinquennio», sottolinea il Miur. Testimonianza di una realtà in continua crescita, tanto da far registrare 24 mila unità in più solo nell’ultimo anno. Complessivamente, i ragazzi nati in Italia rappresentano l’85% degli studenti che non hanno la cittadinanza italiana nella scuola dell’infanzia, il 73,4% nella primaria, il 53,2% nella secondaria di primo grado, il 27% in quella di secondo grado. «Una quota, quest’ultima destinata a crescere nei prossimi anni» prosegue sempre il ministero. A questi vanno poi sommati quanti sono iscritti all’università, arrivando così a una cifra che tocca il milione di persone. Cittadini di fatto, fantasmi per lo Stato che si ostina a considerarli stranieri.

C’è stato un momento in cui questo popolo di non-cittadini è stato a un passo dal conquistare ciò che considerano a ragione un loro diritto. È stato quando, dopo essere stata approvata dalla Camera, la riforma della cittadinanza è arrivata in Senato sostenuta prima dal governo di Matteo Renzi e poi da quello guidato da Paolo Gentiloni. Il testo, frutto di una mediazione, introduceva il cosiddetto ius soli temperato in base al quale un minore nato in Italia da genitori stranieri diventava automaticamente italiano se almeno uno dei genitori fosse stato titolare di un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo. Oppure – per i minori arrivati in Italia prima di aver compiuto 12 anni – dopo aver frequentato con successo un ciclo di studi durato almeno cinque anni. Prima uno poi l’altro, sia Renzi che Gentiloni fecero però mancare l’appoggio a una legge che sembrava già approvata e che invece naufragò a dicembre del 2017 grazie anche al mancato appoggio del Movimento 5 stelle.

Oggi in parlamento c’è un nuovo disegno di legge sulla cittadinanza presentato dall’ex presidente della Camera Laura Boldrini, mentre anche Nicola Zingaretti ha annunciato un analogo provvedimento del Pd. Una battaglia che qualcuno vuole però riprendere da subito. Il 9 maggio un sit-in per chiedere una nuova legge sulla cittadinanza. «Pensiamo sia ora di discutere di diritti, giustizia ed eguaglianza» spiegano gli organizzatori riuniti nel gruppo «Attivismo, italiani di origine diversa, migrazioni,, discriminazioni» che si rivolgono a «tutte le sorelle e i fratelli di qualsiasi provenienza e di qualsiasi status giuridico a cui è negato il riconoscimento dei diritti fondamentali».

L’appuntamento è per le 16 sotto Montecitorio, ma il movimento si presenta diviso rispetto al passato. Due componenti importanti come Rete G2 e Italiani senza cittadinanza, hanno infatti deciso di non partecipare: «Nessuna contrapposizione, ci fa piacere che ci sia intenzione a manifestare dissenso contro l’attuale legge», spiega Paula Baudet Vivanco, di Italiani senza cittadinanza. «Pensiamo però che non sia il momento di tornare in piazza, si rischia solo di far parlare i partiti in campagna elettorale per le europee, quando non è certo l’Europa che decide su questa materia. Non dimentichiamo poi che questa maggioranza ha votato il decreto Salvini. Per ora preferiamo lavorare nei territori e nelle scuole insieme agli studenti, insegnanti e tutti coloro che sono interessati».