La raccontano così: finalmente Obama, dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina, è sceso in campo impegnando un miliardo di dollari di spese militari americane per «difendere i paesi dell’est». Detta così è poco meno di una brutta favola occidentale nell’occasione dell’anniversario dello sbarco americano in Normandia 70 anni fa.

La verità è un’altra. Il nuovo «sbarco» di Obama in Polonia che parla all’ombra di un F-16, è infatti il coronamento di venti anni di impegno statunitense, dopo l’89, nella strategia di allargamento della Nato a Est, ai confini della Russia. Con l’esportazione di sistemi d’arma, l’installazione di decine di basi militari, l’ingresso nell’Alleanza atlantica di tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia ben prima dell’adesione all’Ue.

E il coinvolgimento di tutti questi paesi nelle guerre sporche americane in giro per il mondo, significativamente esplose a partire dal 1991 a ridosso della fine dell’Unione sovietica, prima in Iraq e poi in Afghanistan, nei Balcani, in Somalia, in Libia e via dicendo. Spesso abusando dell’etichetta delle guerre «umanitarie». Mentre nessuno s’interroga sui risultati reali di questi avventure armate vergognosamente proclamate in difesa dei diritti umani, e che in realtà hanno lasciato le crisi specifiche incancrenite e irrisolte, stragi sanguinose di innocenti impunite (che continuano come in Iraq e Afghanistan) e scie esplosive, come in Somalia e Libia. Ora infatti Obama ha ereditato – e mostra purtroppo di restarne ostaggio – un problema grande come una casa, anzi come la Casa bianca.

Le elezioni di mid-term avranno tra l’altro all’ordine del giorno proprio il militarismo umanitario bipartisan e il caso Libia-Bengasi che coinvolge la «candidata» Hillary Clinton, in una «sana» dialettica tra responsabilità dei Democratici o dei Repubblicani, dei neocon di destra o di quelli di sinistra.

Naturalmente, tenendo fermo l’asse strategico dell’allargamento della Nato a Est, ai confini russi. Che produce almeno tre effetti devastanti: da una parte provoca la reazione russa, dall’altro cancella ogni possibilità che esista una politica estera dell’Unione europea surrogata ormai dalla Nato, e infine autorizza ogni avventura politica nell’Europa dell’est. Come in Ucraina nelle mani di oligarchi che recitano, a seconda del momento, la parte dei filorussi o dei filooccidentali e che si sono riproposti, grazie alle milizie dell’estrema destra, come leader politici. Il presidente Usa ha incontrato a Varsavia il neo-presidente ucraino Poroshenko, l’umo degli Stati uniti a Kiev fin dal 2006 – ha rivelato Wikileaks – appoggiandolo per la suai repressione della secessione interna dei «terroristi» filorussi del Donbass, che così facendo hanno reagito alla rivolta antirussa di Majdan. E pensare che di questi giorni, 15 anni fa, l’aviazione Usa e Nato non aveva ancora finito di bombardare l’ex Jugoslavia per sostenere i terroristi dell’Uck nella secessione dello stato del Kosovo.

Hanno provato a spiegarlo anche autorevoli e ormai scomodi protagonisti della politica estera Usa ed europea. Dall’ex segretario di Stato Kissinger, a Brzeshinski che hanno messo in guardia dai rischi di una Nato allargata a est, all’ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt, che ha ricordato come la proposta d’ingresso nell’Ue ad un paese diviso come l’Ucraina accoppiata alla strategia atlantica extra-large ai confini russi «prepara la terza guerra mondiale»; fino all’ex capo del Pentagono di Bush e poi dello stesso Obama, Robert Gates, che nel suo libro di memorie uscito a gennaio negli Usa, parla di «arroganza occidentale», e scrive: «Aver allargato la Nato così rapidamente dopo il crollo dell’Unione sovietica a numerosi Stati fino ad allora sotto tutela di Mosca, è stato un errore.

Gli occidentali, in particolare gli Stati uniti, non hanno preso la misura dell’ampiezza dell’umiliazione percepita dai russi con la fine dell’Urss…». Ora Obama, impegnando un altro miliardo di dollari nella slot machine delle spese militari americane nell’Est Europa, rilancia la leadership Usa su tutto il Vecchio Continente, mettendolo in guardia dal modificare i bilanci della difesa (gli F-35 non si toccano) perché, dichiara, «la sicurezza si paga». E, invece, così facendo ci paghiamo solo istabilità e nuove minacce di guerra.