Per Carlo Ginzburg, teorico della microstoria, l’attenzione al particolare permette di accedere a verità profonde altrimenti inattingibili e di scoprire aspetti del passato che rischiano di andare perduti. Le radici del glicine. Storia di una casa occupata (Agenzia X, 15 euro), di Massimo Pirrotta, è un libro gioioso e di struggente nostalgia, dove la microstoria di un’esperienza di vita e di lotta si intreccia – senza diventare consolatoria – al ricordo di un microcosmo utopico. Marco Belpoliti, in Settanta, ha giustamente sostenuto che «nell’arco di un decennio, quello che inizia con il 1978 e finisce con il 1989, tutto sembra essersi consumato insieme all’idea di un cambiamento drastico del sistema capitalistico occidentale».

LA STORIA (1975-1984) della casa occupata di via Correggio, a Milano, si sovrappone a quel periodo. Con l’«aggravante» che per quegli occupanti che avevano conosciuto la potenza desiderante della dimensione sociale (che fino al 1977 aveva consentito di sognare collettivamente), la visione dell’orizzonte utopico si trasforma lentamente, con gli anni ’80, in disorientamento distopico, nel passaggio dalla società disciplinare alla società del controllo, come sosteneva Deleuze.
Quando però inizia a chiudersi un’epoca arrivano le scintille dei punk, anzi dei punx (come si chiamarono gli attivisti dell’ala più politicizzata di quel piccolo ma incisivo movimento) e la casa occupata riprende a palpitare di creatività. Via Correggio 18 era «un’isola pirata, un concentrato di libertari, famiglie senzatetto, hippie, comunisti, femministe, cattolici del dissenso, operai riottosi ed ex-partigiani», un luogo tollerante e pieno di energia dove, appunto, trovano rifugio i punx che danno vita allo storico Virus. Questa esperienza ibrida sarà seminale per l’impulso che darà a nuove occupazioni: esploderanno a fine anni ’80 con il movimento dei centri sociali.

REALIZZATO con le testimonianze degli ex-occupanti, il libro racconta un’eterotopia «fulcro di mille incontri trasversali, asilo per le battaglie sociali, albergo per girovaghi internazionali, iniziative di quartiere, con una cassa comune in cui ognuno dava secondo le proprie possibilità, un’assemblea come sede decisionale e poi feste e spettacoli nel capannone industriale sul retro del palazzo dove prima risiedevano i padroni».
Una microstoria altro non è che una controstoria, racconto che rimette in discussione il discorso disciplinare e dissuasivo del potere e, nonostante tutto, tutti i protagonisti delle diverse forme di vita che «covarono» in via Correggio conoscevano la frase di Buenaventura Durruti: «Non erediteremo che rovine, ma le macerie non ci fanno paura, perché portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori. Questo mondo sta crescendo in questo istante».