A Month in Siena – ‘Un mese a Siena’ – l’ultimo libro di Hisham Matar pubblicato nel 2019, viene ora presentato da Einaudi al lettore italiano con il bel titolo Un punto di approdo, ripreso, e in un certo modo dunque legittimato, dal titolo del suo terzo capitolo. Titolo seducente che, se esplicita una tonalità che per certo contrassegna la narrazione (quel fare matura esperienza di un proposito introspettivo; quell’esser preso da una interrogazione autobiografica quale può sorgere a un tornante determinato della propria vita: si chiede Matar se «solo dentro un libro o davanti a un dipinto si può avere realmente accesso alla prospettiva di un altro»), ne occulta tuttavia, della narrazione dico, quel titolo nuovo, più di un tratto eminente.

Approdare è giungere e sostare, sospendere, magari per un periodo limitato e non definitivamente, il tempo del viaggio. Ma nell’approdo è lo scorrere del viaggiare che si ferma. Approdare, attraccare è il contrario del salpare, del levare la vela verso il mare aperto. Il racconto che fa Matar del suo soggiorno a Siena vuol essere – con forti, regolari e significative sottolineature – la registrazione di concomitanti intrecci temporali condotta annotandone i flussi, le interferenze, le sovrapposizioni e le fughe prospettiche nelle corrispondenze e nei rimandi che a quelle trame di tempi diversi forniscono spazi e luoghi determinati.

Per tanto i modi della cronaca privata e un suo costrutto diaristico si giustificano con il proposito di Matar di dar minuto conto degli stati d’animo in movimento che lo percorrono in quei trenta giorni. Un movimento speciale, come di acque in bacini comunicanti e trascorse da confluenze che mescolano presente e passato entro recipienti circoscritti.

Designare tali andamenti sotto l’intestazione ‘un punto di approdo’ induce al pensiero del pervenire, del raggiungere, quando non del conchiudere. Là, dove la narrativa di Matar non è elaborata all’àncora, in rada, ma annotata in navigazione, al largo, sulle pagine del libro di bordo. Del resto, a conferma di una affezione ai transiti, agli attraversamenti e ai passaggi che Matar coltiva, si legge proprio in quel capitolo terzo, Un punto di approdo.

Vi si legge che osservare un affresco «è costringere le superfici piatte a cedere, ad aprire uno spazio» tanto che, dice Matar, «ho immaginato un uomo che letteralmente entrava e svaniva dentro gli affreschi». Insomma, la parola ‘mese’ del titolo originale esibiva un connotato temporale, mentre ‘approdo’ (e ‘punto’) afferiscono, in forma generica e anonima ad una dimensione locativa che viene, poi, a obliterare, non senza una conseguenza di rilievo, il nome di Siena.

Ora, A Month in Siena, configura l’intima corrispondenza di tempo e luogo, che costituisce il sale di quest’opera di Matar, e forma il nucleo che ne calamita gli umori narrativi. Il luogo-tempo Siena è quanto accoglie e insieme coordina i viluppi che intessono una percezione del passato conformandola entro i presenti margini di consapevolezza di Matar medesimo.

Ma Siena, che è la protagonista del libro, è cancellata nel titolo italiano. Siena, nel profilo della quale la consapevolezza di Matar si decanta. La forma della città di Siena entro il nastro delle sue mura e, al di là delle mura, capace di includere in una attiva tensione spaziale le lontananze delle colline e delle valli che la circondano, tanto da farne una impreveduta presenza, di quel lontano dico, dentro il gheriglio compatto delle vie cittadine, il loro scendere , salire e serrarsi e il loro aprirsi in scorci e slarghi fino al Campo.

Bene, tale forma nei suoi bordi e nei suoi interni rispecchi è da Matar ritrovata nella pittura dei maestri senesi da Duccio a Giovanni di Paolo. Al punto che una equiparazione si compie nel libro tra quei dipinti che egli guarda e riguarda e la città che su e giù attraversa. Campi visivi delimitati in una tavola di Sano di Pietro o di Ambrogio Lorenzetti come nella continuità dei palazzi che fanno il gheriglio di Siena. Non ho il testo inglese alla mano, ma di gheriglio, qui nella traduzione di Anna Nadotti, è pure l’immagine che Franco Fortini di Siena ebbe.