La decadenza di Berlusconi solo dopo l’approvazione in aula della legge di stabilità. La conferma ieri a palazzo Madama. E pazienza se per il voto sul Cavaliere resta la data teorica di mercoledì prossimo, 27 novembre. Perché ci vorrebbe un miracolo per far votare i senatori proprio quel giorno sulla – a questo punto scontata – «non convalida» dell’elezione di Berlusconi. La legge di stabilità arriverà nell’aula del senato lunedì pomeriggio (dopo domani). A meno di nuovi intoppi in commissione bilancio, dove si lavora nel fine settimana. Sempre lunedì ci sarà un’altra conferenza dei capigruppo per aggiornare il calendario. Il governo a quel punto avrebbe un solo modo per chiudere il discorso in appena 24 ore: porre immediatamente la questione di fiducia. Ma è quello che non vuole il gruppo del Nuovo centro destra di Alfano, come ha avvertito lo stesso vicepremier: «Sarebbe una forzatura» rispetto all’appuntamento di Berlusconi con il giudizio dell’aula. Perché sulla decadenza del Cavaliere le diversità tra berlusconiani sfumano e quasi spariscono. I «moderati» che non hanno seguito il fondatore nella nuova Forza Italia non faranno per questo cadere il governo, ma promettono ugualmente battaglia contro l’applicazione della legge Severino. Lo prevede la tattica della separazione consensuale, in vista dell’opportunistico ri-abbraccio elettorale sotto le insegne del Berlusconi martirizzato.

In verità il clima tra gli ex del Pdl non potrebbe essere peggiore. Per tutto il giorno i berlusconiani doc attaccano gli «scissionisti», accusati di intelligenza con la sinistra. Ma proprio per questo Alfano deve mostrarsi inattaccabile sulla fedeltà al Cavaliere. «Non arretrare di un millimetro», fa sapere di aver chiesto ai senatori.

Oggi presenterà i gruppi parlamentari, ieri ha fatto eleggere capogruppo al senato Maurizio Sacconi. Che ha esordito definendo la decadenza «un’ipotesi assurda» e promettendo che il Nuovo centrodestra userà «tutti gli strumenti istituzionali per evitarla». Quasi una gara di ostruzionismo a destra, alla quale partecipa anche la Lega. I forzisti di ritorno ieri hanno attaccato pesantemente il presidente Grasso perché si è rifiutato di congelare la proposta di non convalidare l’elezione di Berlusconi (in quanto condannato a quattro anni per frode fiscale, tre coperti dall’indulto), per la faccenda dei post del senatore grillino Crimi dall’interno della giunta delle elezioni. Gli «alfaniani» non sono stati da meno, a parte i toni più sorvegliati di Schifani rispetto a Bondi che, non sapendo più cosa gridare a Grasso, gli ha dato del magistrato. In apertura di seduta ieri mattina anche una lite tra un altro forzista, il senatore Malan, e la capogruppo del Movimento 5 Stelle Taverna. Mentre lei spiegava che non si poteva perdere altro tempo sulla decadenza, lui le ha gridato «nazista». Poi ha precisato che si riferiva «al ragionamento, non alla persona». La senatrice non gli ha creduto, «ce l’aveva con me, ha usato il femminile: nazista».

In tutto questo Berlusconi ha una certezza. Il giorno in cui si voterà per escluderlo dal parlamento vuole una manifestazione della sua gente nel centro di Roma. Lui interverrà in aula, denunciando la resa della politica alla magistratura. Passaggio nelle intenzioni epocale, che però il Cavaliere preferisce rimandare se possibile. Qualche carta ancora può giocarla.

L’innovazione del voto palese sulla decadenza, introdotta dalla giunta del regolamento su richiesta di uno spaventatissimo Pd, si presta infatti a qualche eccezione: i berlusconiani di ambo le parti le presenteranno nella forma di una richiesta di tornare al voto segreto. Quella di mercoledì, o più probabilmente di uno dei giorni successivi, non sarà una seduta facile. «Abbiamo cominciato a scaldare gli animi in vista dei prossimi appuntamenti», ha previsto ieri il presidente Grasso dopo un’oretta di schermaglie in aula. Mentre il segretario del Pd Epifani ha cominciato a respingere gli argomenti che sono dei «falchi» berlusconiani, ma anche di Alfano. «Non è vero che abbiamo accelerato i tempi della decadenza – ha spiegato – visto che sono passati mesi dalla sentenza di condanna definitiva». E poi ha definito «una scelta di buon senso» quella di aver confermato la data del 27 novembre. Ora si tratta di riuscire a rispettarla.