I 28 Paesi dell’Unione Europea hanno scritto con la Turchia una delle pagine più vergognose della storia comunitaria. Quello siglato venerdì è un mercanteggiamento sulla pelle dei rifugiati, la cui reale attuabilità è però tutta da verificare. L’unica certezza che abbiamo è la sua esplicita finalità: «esportare» il problema dei rifugiati, non certo risolvere questa complessa partita.

Analizzandolo tecnicamente, tutto l’accordo si basa sul riconoscimento della Turchia come «Paese terzo sicuro» o come «Paese di primo asilo». Nella normativa comunitaria è previsto infatti che le persone che provengono da Paesi inclusi dalle legislazioni nazionali nella lista dei cosidetti «Paesi terzi sicuri» o «Paesi di primo asilo» possano presentare una domanda d’asilo di cui verrà valutata l’ammissibilità, e solo in caso positivo i requisiti per il riconoscimento della protezione. E qui un aspetto politico rilevante: la Grecia e Tsipras sono pressati da mesi affinché inseriscano nella propria procedura d’asilo questa clausola. Le persone saranno quindi sottoposte a una procedura accelerata nell’ambito della quale dovrà comunque essere individualmente valutata l’effettiva sicurezza di tale Paese per il richiedente asilo. In caso di mancato accoglimento della domanda, la persona ha diritto a presentare un ricorso individuale. Ma fino ad oggi una istanza per i ricorsi in Grecia esiste solo sulla carta e non è istituita. Come questa procedura, già duramente criticata quando inserita nella normativa comunitaria perché introduce standard di garanzie ben inferiori rispetto all’iter ordinario e che in esempio in Italia non è ancora fortunatamente prevista, si possa coniugare con i numeri e le strutture di accoglienza, identificazione e registrazione presenti in Grecia è davvero tutto da verificare. Anche l’annuncio dell’arrivo, non ancora realizzato, di 2300 tra esperti, mediatori, traduttori da parte dell’Unione Europea, potrà difficilmente rendere realmente esecutiva questa procedura nei tempi auspicati dai capi di Stato. Ci chiediamo anche quanti avvocati, per i ricorsi che le persone hanno comunque il diritto di presentare, verranno inviati sulle isole greche.

Questo su un piano di realtà operativa, mentre su un piano di diritto crediamo che l’utilizzo di entrambe le definizioni non possa in nessun modo essere applicato alla Turchia. Un Paese che mantiene tutt’ora la limitazione geografica alla Convenzione di Ginevra, un fatto che esclude siriani, iracheni, afgani dal riconoscimento dello status di rifugiato, non può evidentemente essere considerato un “Paese terzo sicuro” dove rinviare persone bisognose di protezione internazionale. Per quanto riguarda invece la considerazione della Turchia come Paese di primo asilo non crediamo che tale concetto si possa applicare a questo Paese visto che il livello di protezione che garantisce non è in alcun modo equivalente a quello prescritto dalla Convenzione di Ginevra e dagli altri strumenti di protezione internazionale previsti dalla normativa comunitaria.

Temiamo che l’unico reale effetto dell’accordo possa essere quello di un fortissimo deterrente per i rifugiati oggi in Turchia. Terrorizzati dall’idea di essere rimandati indietro, dopo aver messo la propria vita a rischio nel Mediterraneo, probabilmente cercheranno strade e rotte considerate ancora aperte. E qui è uno degli aspetti fondamentali del mondo dell’asilo che sfugge ai Capi di Stato: i flussi di rifugiati non si possono fermare. Chi scappa dalla guerra, dalla violenza e dalla morte non si ferma fino a quando non trova protezione. Se la rotta greca si chiuderà, siamo certi che altre se ne apriranno: la rotta con la Bulgaria o quella del Nord Africa. E questo ci preoccupa moltissimo, la Bulgaria è stata tra i primi paesi ad erigere un muro a protezione dei propri confini e l’unica che per ora ha visto un suo agente delle forze di polizia sparare a un rifugiato, un ragazzo afgano, che cercava di attraversare quel confine. O ancora una volta vedremo la riapertura della rotta libica, con le conseguenze drammatiche che potrebbero esserci in termini di sicurezza per i rifugiati sia in territorio libico sia nella traversata di uno dei tratti di mare più pericolosi al mondo.

La nostra esperienza ci dice, purtroppo, che misure così restrittive non impediscono ai rifugiati di arrivare, ma complicano e rendono ancor più insicuro il loro viaggio.

In questi momenti davvero bui per l’asilo, il Cir sta lanciando la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi telefonica “Al di là dei muri”, con la quale è possibile sostenere le nostre attività in favore dei richiedenti asilo, rifugiati e vittime di tortura: dal 21 marzo al 9 aprile con SMS o da rete fissa al 45503. Mai come ora il nostro lavoro è importante.

* Portavoce del Consiglio Italiano per i Rifugiati