Maniaco della quantificazione, acritico, traditore del proprio passato socialista, venduto agli interessi del mercato. Oppure fondatore dell’approccio matematico nelle scienze sociali, precorritore dei suoi sviluppi più recenti, maestro, primo e forse mai eguagliato metodologo a tutto tondo. Attribuzioni così contrastanti si sono accavallate lungo vari decenni, nel tentativo di definire Paul Felix Lazarsfeld.

Il libro curato da Fabrizio Denunzio, Radio: prove tecniche di misurazione. Introduzione a «Radio and the Printed Page» di Paul F. Lazarsfeld (Areablu Edizioni, collana The Searchers, pp. 160, 20 euro) prova a sciogliere questo enigma. L’obiettivo non è solo restituire a Lazarsfeld il volto più autentico, sottraendolo a interpretazioni caricaturali o agiografiche; e certamente il libro ha anche il merito di una rigorosa filologia. Ma la posta in gioco è un’altra: troppo spesso le scienze sociali odierne si disperdono in mille ricerche descrittive, miniaturizzate ed effimere; sicché il ritorno ad un classico – come è Lazarsfeld – dà spessore all’attualità.
Chi studia Kant sa parlare di Topolino mentre chi studia Topolino non sa parlare di Kant, qualcuno ha detto. Con la propria classicità, Lazarsfeld si pone sul primo versante: certo, egli indaga singoli, minuti aspetti della società, usandoli però come squarci attraverso cui interpretare il mutamento sociale e le trasformazioni culturali; e la metodologia – in lui quasi mai gravata dal ritualismo e dal feticismo del numero – gli serve proprio ad aprire quegli squarci. Sono solo fenditure, appunto; non pretendono di abbracciare la «totalità sociale», come invece gli rimprovera Adorno.

Prendendo a prestito un’antica metafora: Lazarsfeld non è un riccio che circoscrive i propri movimenti entro uno spazio angusto ma conosciuto palmo a palmo, piuttosto è una volpe; forse non proprio una volpe «da crinale», che scruta gli orizzonti sconfinati; piuttosto è una volpe «da vallata», esplora solo ciò che gli si pone davanti: qualcosa di simile alle «teorie di medio raggio», né onnicomprensive né meramente empiriste, sostenute dall’amico Merton.

Entro questo medio raggio troviamo le indagini decennali raccolte sotto l’originario titolo Radio and the Printed Page, che richiama la comparazione fra l’audience radiofonica e i lettori di giornali. Queste ricerche non partecipano alla prima fase di Lazarsfeld, nella quale spicca il capolavoro pionieristico sui disoccupati nel sobborgo viennese di Marienthal durante la Grande Depressione; né esse fanno parte degli studi più noti, quelli degli anni Cinquanta e Sessanta. Radio and the Printed Page sembrerebbe quindi un’opera minore, e così è stata considerata a lungo. Un merito di Denunzio e degli altri coautori è di aver restituito a quel testo la vitalità, l’acume, la capacità di anticipare ciò che farà di Lazarsfeld uno studioso determinante sia in metodologia sia in mediologia.

Questo libro è un’ampia antologia critica, in quanto i brani originari – inediti in Italia – sono preceduti da commenti interdisciplinari.

Fabrizio Denunzio s’incarica di contestualizzare l’originaria formazione viennese di Lazarsfeld: pagine acute e suggestive, che prendono spunto anche da Karl Kraus, per tratteggiare un ambiente – soprattutto la «Grande Vienna» – che fu un periodo di fermenti e osmosi culturali.

Forse sarebbe stato ugualmente interessante dedicare un capitolo alla successiva formazione, quando Lazarsfeld emigrò negli Usa, sotto l’incalzare del nazismo. Egli e tanti altri intellettuali, emigrati come lui, segnarono un movimento di grande portata, che miscelò la cultura del vecchio e quella del nuovo continente. I critici di Lazarsfeld sostengono che questi si integrò – o si mimetizzò – a tal punto da assorbire dosi eccessive di oggettivismo e behaviorismo; e che – per il tramite della sua notorietà – le tracce di quell’americanismo si ritrovano tuttora nelle scienze sociali.

Tiziano Bonini e Davide Bennato esplorano gli aspetti più sostantivi della ricerca sulla radio: ne emerge un Lazarsfeld che coglie la complessità dei rapporti fra media e che si pone a distanza da ogni determinismo tecnologico. Da qui la teoria degli «effetti limitati», in cui tornano protagonisti il soggetto e le relazioni intersoggettive nel rielaborare e reinterpretare i messaggi mediali; da qui, ancora, una serie di ulteriori argomenti che interpellano il presente: il ritorno attuale della radio, il rapporto fra «comunicazioni di massa» e vita quotidiana, la differenziazione dell’audience, la polisemia dei testi mediali.

In due distinti capitoli Gianmaria Bottoni e Felice Addeo analizzano la metodologia di Lazarsfeld. Sono pagine significative, che non si limitano ad appagare qualche interesse storico o a sistematizzare alcune importanti nozioni di tecnica dell’indagine, con particolare riguardo alla survey che fu fondata proprio da Lazarsfeld. Anche da questa angolazione appare quanto Lazarsfeld concepisse il metodo come un itinerario costantemente in progress, come un cammino che attraversi saperi diversi, che incroci teorie e tecniche, approcci «quantitativi» e «qualitativi»; e che sia orientato all’infinita gamma dei linguaggi. In tal senso il linguaggio della radio diviene metafora della ricerca: l’ascolto di Kraus nella formazione viennese si traduce nell’idea dell’intervista come «arte del chiedere e dell’ascoltare», per poi applicarsi ad una ricerca sugli ascoltatori. Vi è dunque un’arte nel metodo, un annuncio che proviene dalle cose e che va colto per disincagliarsi dal metodologismo.