Sulla scrivania di Luigi de Magistris, ex magistrato, ex eurodeputato e oggi per la seconda volta sindaco di Napoli, c’è un sasso, che si può anche vedere come una pietra. È il simbolo del suo motto: «Scassare e ricostruire». Il più adatto per il solo leader che adoperi correntemente la parola messa al bando sia dalla politica di sistema che da quella antisistema: Rivoluzione. Dall’altro lato di quella scrivania Giacomo Russo Spena, giornalista per nulla intimidito dal confronto col primo cittadino partenopeo, lo ha intervistato a lungo, ci ha chiacchierato e discusso. Il risultato è Demacrazia (Fandango, pp. 171, euro 15): un manifesto partecipe ma non esegetico del progetto politico del sindaco di Napoli.
Russo Spena ne ripercorre sinteticamente i passi: il trasferimento dalla procura di Catanzaro dopo la denuncia dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, il flop dell’indagine Why Not, che de Magistris addebita all’impossibilità di proseguire con le indagini dopo lo spezzettamento del fascicolo. Poi la vicinanza all’Idv di Di Pietro, che lo porta come indipendente al Parlamento europeo, e il dialogo, oggi interrotto senza rimpianti, con l’M5S. Infine, la candidatura e la vittoria a Napoli.

IL PUNTO DI SVOLTA nel disegno dell’ormai ex magistrato è proprio Napoli: un’esperienza che parte malissimo. I risultati promessi non arrivano, la popolarità va a picco, nell’ottobre 2014 il sindaco viene sospeso dall’incarico, dopo essere stato condannato in primo grado per abuso d’ufficio. Tra i sindaci ribelli eletti nel 2011 il napoletano sembra quello più votato al fallimento. Recupera, contro ogni previsione, scendendo in strada. Non per modo di dire: macinando km per le piazze e i vicoli di Napoli. Un anno dopo, a sentenza ribaltata, rientra ufficialmente in carica ma non è più lo stesso uomo. Soprattutto non è più lo stesso sindaco.
La conversione più drastica è sul fronte del giustizialismo, Giggino ’a Manetta, ne era stato, a torto o a ragione, uno dei simboli più vistosi. Il nuovo de Magistris marca proprio su questo fronte la distanza dall’M5S. «Se negli anni ’70 gli operai non avessero lottato andando anche contro la legalità formale, adesso non avremmo lo Statuto dei lavoratori», sottolinea per contrapporre una concezione sostanziale della giustizia a quella formale della legalità da cui è inebriato il Movimento di Grillo. «Per l’ex pm la legalità ha senso solo se abbinata alla giustizia sociale», sintetizza Russo Spena.

DOPO LA PARENTESI e dopo la rielezione, de Magistris abbandona anche il civettamento con le pulsioni securitarie travestite da battaglia «per il decoro». Il sindaco intavola o intensifica rapporti con i movimenti, cercando di porsi su un piano di reciproca autonomia: «L’importante è garantire ai movimenti l’autonomia, anche di criticarmi». «Autonomia» è la parola chiave nel progetto del sindaco, che non a caso ha chiamato il suo movimento, con ambizioni nazionali ma al momento ancora strettamente locale, DemA. Sta per democrazia e Autonomia ma segnala soprattutto il nome del leader, persino più dell’En Marche di Emmanuel Macron, che almeno si limita alle iniziali.

È LA FORZA E LA DEBOLEZZA di de Magistris, leader tutto interno all’ondata che va di moda definire «populista» che cerca però di declinare con una connotazione apertamente virata a sinistra, ma con una forte componente cattolica e tale da parlare a tutti. Per questo de Magistris chiede di assumere seriamente problemi che la sinistra spesso si limita a negare, come quello dei migranti. Secondo lui non si può fingere che il tema non esista, lasciandolo in balìa delle strumentalizzazioni della destra. Va però affrontato non con misure emergenziali ma individuando vere strategie di «integrazione strutturata».
La componente «populista», o forse semplicemente moderna, permette al sindaco di non apparire irrimediabilmente legato a un passato più o meno glorioso ma comunque storia di ieri: la maledizione che condanna tutte le forze alla sinistra del Pd a platee in cui domina sempre il grigio dei capelli. Ma lo espone anche al rischio di rivelarsi solo un Masaniello, con ruolo circoscritto nello spazio e nel tempo.

PER VINCERE la sua scommessa de Magistris deve riuscire a rendere operativo, con respiro non solo italiano ma europeo, il progetto neomunicipalista delle città ribelli, e probabilmente nessuno lo sa meglio dell’autore di questo libro che arriva dopo quelli su Syriza, Podemos e la Barcellona di Ada Colau, in una dichiarata linea di continuità. Se fallirà su questo fronte, de Magistris si rivelerà, come moltissimi si augurano, un fenomeno pittoresco ed effimero. Ma se si avvicinerà all’obiettivo è probabile che sia destinato a giocare una parte non secondaria nella costruzione di un’identità radicale in Italia e in Europa.