Un marziano sui castelli elettorali
Roma L’inchiesta sugli scontrini potrebbe essere archiviata e il sindaco non è indagato. Ignazio Marino lo scopre in procura e annuncia: «Potrei ritirare le dimissioni». Ancora dodici giorni di travaglio per il Pd, fino alla deadline del 2 novembre. Ma Orfini convoca e blinda i consiglieri dem: «Non c’è più maggioranza». La linea renziana: «Nessuna verifica in Aula»
Roma L’inchiesta sugli scontrini potrebbe essere archiviata e il sindaco non è indagato. Ignazio Marino lo scopre in procura e annuncia: «Potrei ritirare le dimissioni». Ancora dodici giorni di travaglio per il Pd, fino alla deadline del 2 novembre. Ma Orfini convoca e blinda i consiglieri dem: «Non c’è più maggioranza». La linea renziana: «Nessuna verifica in Aula»
Dimissioni definitive? «Ho scritto che mi sarei preso venti giorni per valutare. Lo penso ancora». Le quattro ore passate lunedì in procura, a colloquio con i pm che indagano sui suoi scontrini, sono state per il sindaco di Roma un antidoto al veleno giudiziario cosparso sulla sua strada da chi non aveva più armi politiche. Per la prima volta da quando rassegnato le dimissioni cedendo alle pressioni renziane, Ignazio Marino torna a parlare.
«Come ho scritto nella lettera di dimissioni del 12 ottobre alla presidente dell’Assemblea capitolina Valeria Baglio e come prevede la legge, ho preso 20 giorni di tempo per riflettere». Dodici giorni di travaglio ancora per chi aveva già messo in soffitta il “marziano” dem. Appurato di non essere iscritto nel registro degli indagati e avendo fornito ai pm «spiegazioni più che convincenti», il sindaco parte a testa bassa contro i 5 Stelle e i Fratelli d’Italia che hanno presentato quei «vergognosi esposti nei miei confronti». E fa tremare i castelli elettorali che da Palazzo Chigi in giù si stavano erigendo.
Il Pd per primo va in fibrillazione: il presidente Matteo Orfini chiama immediatamente a raccolta i consiglieri comunali dem per rimettere in riga chi – e non sono pochi – sarebbe tentato dall’idea di concludere la consiliatura e magari accarezza anche il sogno di liberarsi dal presidente renziano e dai suoi modi considerati un po’ autoritari. «Nessun dietrofront», avverte Orfini. E un’ora e mezza dopo anche il capogruppo del Pd in Campidoglio conferma la linea: «Non ci sono più le condizioni per continuare con il sindaco di Roma, Ignazio Marino, e di formare una nuova maggioranza».
E mentre in piazza tornano i supporter del chirurgo che gli chiedono di non mollare, anche Sel si contorce: nel partito di Nichi Vendola c’è chi vede sfumare alleanze possibili con quello renziano a livello locale, ma la discussione è ancora aperta. «È un thriller sulla pelle della città, sta dando un ultimo aiutino al Pd», commenta sardonico il leader dell’Ncd, Angelino Alfano.
«Mi sono dimesso perché ho estremo rispetto per l’autorità giudiziaria alla quale volevo presentarmi da dimissionario e per spiegare i fatti contenuti negli esposti presentati da M5S e FdI che sono vergognosi, scritti da persone in malafede o ignoranti», dice Marino nella conferenza stampa convocata il giorno dopo essere entrato in procura «da persona informata dei fatti» ed esserne «uscito come persona informata dei fatti», come ha spiegato il suo legare.
«Non è iscritto nel registro degli indagati», precisa l’avvocato Enzo Musco, e ha fornito al pm Roberto Felici, titolare dell’inchiesta aperta sulle spese di rappresentanza, «spiegazioni più che convincenti». D’altronde il fascicolo della procura risulta ancora senza intestazione né ipotesi di reato, il che vuol dire che potrebbe persino essere archiviato.
Racconta Marino: quegli scontrini della tintoria, ad esempio, «non si riferiscono ai miei abiti, ma a quelli storici dei trombettieri di Vitorchiano». E si difende: «Non ho mai utilizzato denaro pubblico a scopo privato, casomai il contrario. I due giorni a New York, dal primo settembre, potevano essere considerati un viaggio istituzionale, visto che ho incontrato il sindaco Bill De Blasio. Ma decisi di pagare i 700-800 euro di albergo con soldi miei».
Marino lascia invece al suo legale riferire quale linea difensiva ha adottato davanti agli inquirenti: «Chi di voi ricorda con chi è stato a cena 15 mesi fa? Noi abbiamo dato una giustificazione per quanto possibile alle spese sostenute – racconta Musco – Ci siamo difesi su tutti i fronti, soprattutto sulla questione degli scontrini, non accusando nessuno, ma descrivendo davanti al magistrato il modo di operare della burocrazia romana. Coloro i quali registravano gli scontrini non commettevano nessun tipo di falsità, perché non facevano altro che seguire una prassi che il Comune di Roma segue da tanto tempo, convalidata anche dal regolamento Anci, in merito alla restituzione dei rimborsi per l’attività svolta».
Nella sala della Protomoteca del Campidoglio, a chi gli chiede se ci sono ancora i margini per ricostruire una maggioranza in suo favore, Marino ribatte: «Fa parte delle verifiche che bisognerà fare». Ma il suo partito ha già verificato: «Escluderei che si possa andare in Aula», riferisce Panecaldo. Forza Italia reagisce: «Perché il Pd ha paura che Marino verifichi in Campidoglio la sua maggioranza?». Il Pd è blindato: «Ho visto nella riunione con i consiglieri – continua il capogruppo – amarezza per il lavoro ma consapevolezza contestuale che è una fase chiusa». L’eletto è ormai out, il non eletto ha deciso.
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