Niente vive e prospera senz’acqua, nemmeno le macchine dell’universo digitale. Un data centre di medie dimensioni (15MW, come quelli che abbiamo in Italia) può consumare tanta acqua quanto tre piccoli ospedali o l’equivalente di due campi di golf da 18 buche. L’acqua consumata è quella che viene utilizzata direttamente nei circuiti di raffreddamento per tenere ad una temperatura costante di 20-22 C° le sale dove i server sono accesi 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. A questa, nei calcoli, si aggiunge il consumo indiretto di acqua impiegata per la produzione di energia.

SE I CONSUMI ENERGETICI sono relativamente noti, su quelli idrici esistono pochi dati, dal momento che i fornitori globali di servizi cloud come Google, Microsoft, Amazon, insieme ai colossi cinesi, considerano queste informazioni un segreto industriale. Se è scarsa la trasparenza, è difficile valutare la loro efficienza e la consistenza dei proclami sulla sostenibilità delle aziende. Uno studio recente (Data Centre Water Consumption, D. Mytton, 2021) valuta che negli Stati Uniti i data centre consumino 1,7 miliardi di litri di acqua al giorno, cioè lo 0,001% dei consumi giornalieri di quel paese.

IL DATO DI PER SE’ SEMBREREBBE trascurabile, ma si sa che l’acqua dolce non è una risorsa uniformemente distribuita: succede che in alcuni territori che soffrono di stress idrico i data centre di grosse dimensioni cominciano a competere con altri settori per l’uso dell’acqua. Per esempio in South Carolina, sulla costa sud-orientale degli Stati Uniti, Google è entrato in conflitto con la comunità locale quando nel 2019 ha chiesto di triplicare il già consistente prelievo (gratuito) di acqua di 1,9 milioni di litri al giorno, mentre alla società dell’acqua potabile è stato imposto di ridurre i prelievi del 57%. Naturalmente l’ha spuntata Google e il permesso è stato accordato fino al 2023.

SECONDO I DATI DICHIARATI da Digital Reality, uno dei pochi operatori globali del cloud a fornire dati disaggregati sui consumi idrici, sappiamo che nel 2019 il 57% dell’acqua utilizzata per tenere i computer al fresco era potabile. Se i data centre potessero essere dislocati geograficamente solo dove le risorse di acqua sono più abbondanti e nelle fasce climatiche più adeguate, il conflitto con gli altri usi potrebbe minimizzarsi. Tuttavia, i centri di elaborazioni dati e le piattaforme cloud di dimensioni hyper-scale cominciano ad essere localizzati sempre più in prossimità degli agglomerati urbani per diminuire le distanze dagli utenti e di conseguenza il tempo di latenza, indipendentemente dalla disponibilità di una risorsa come l’acqua. Nei report sulla sostenibilità vengono propagandati gli investimenti per limitare il consumo delle risorse potabili, senza però essere quantificati. Per il suo data centre di Hamina (Finlandia) Google dal 2011 utilizza l’acqua del mare nei sistemi di raffreddamento.

MICROSOFT NEL 2020 ha sperimentato il posizionamento di 864 server «impermeabilizzati» direttamente in mare, al largo delle isole Orcadi (Scozia) per sfruttare le basse temperature dell’acqua marina, opzione che però è risultata piuttosto onerosa. Entro il 2030, Microsoft ha annunciato di voler immettere nelle falde più acqua di quanta ne prelevi, con investimenti vari per migliorare la permeabilità del suolo. Anche Amazon ha iniziato ad utilizzare acqua riciclata negli impianti di raffreddamento per evaporazione nelle sue strutture in Virginia del Nord e Oregon, ma quanto a fornire dati precisi sull’utilizzo dell’acqua è tra i meno trasparenti dei big del digitale.

MOLTO RIMANE DA FARE per migliorare l’efficienza degli impianti: Google ha potuto ridurre i consumi di alcuni sistemi di condizionamento fino al 40% semplicemente mettendo a frutto le sue competenze di intelligenza artificiale, utilizzando dati costantemente aggiornati su previsioni del tempo, temperatura e umidità dei locali dei server. Aruba in Italia utilizza sistemi di raffreddamento ad aria, senza utilizzo di acqua.

«LE ORGANIZZAZIONI CHE UTILIZZANO e pagano per le strutture dei data centre dovrebbero farsi carico di chiedere non solo i parametri dell’efficienza energetica, ma anche dati sui consumi di acqua e tenerli in considerazione quando selezionano questi fornitori. Considerando la quantità di dati che possono essere immagazzinati nei data centre, è paradossale che non si abbiano dati su come vengono gestiti», è la conclusione dell’articolo di Mytton.