Quando ripenso alle discussioni avute con alcune amiche vegane e vegetariana ricordo anzitutto la fastidiosa constatazione di ritrovarmi di fronte a persone che manifestavano, più o meno, apertamente, una propria castità etica: loro non uccidono altri esseri viventi per nutrirsi, io sì; loro non si nutrono di cadaveri, io sì. Pare esiste addirittura un neologismo per indicare questi atteggiamenti, il fascioveganesimo (da un saggio di G. Cruciani).
Ammetto che di fronte ai confronti serrati mi ritrovo spesso spaesato, non pronto, sono lento a pensare e dunque ho bisogno di riflettere, non di rado anche a proposito delle affermazioni che imbastisco. Ho quindi colto al balzo l’opportunità di approfondire i temi di un non-filosofo – così si definisce lo stesso autore – che espone il punto di vista di un vegano dei nostri tempi. Leonardo Caffo è persona spigliata, capace di toccare e mischiare temi e discipline con grande amabilità, ma anche con una certa disincantata ruvidità. È uno spirito pratico. Ed è seguendo questa grammatica che ha scritto le pagine di Vegan. Un manifesto filosofico. Anzitutto due o tre frasi che sono andato a sottolineare. Il libro «discute di che genere di creature siamo e di che genere di creature possiamo diventare» (pag. 6). Vegano è un termine che «invita a vivere leggeri» (pag. 10).

Ai tempi dei pitagorici, il veganesimo nasceva come movimento filosofico, ancor prima che come scelta di vita e regime alimentare. «Si è vegani non per soddisfare un proprio bisogno, ma un bisogno altrui» (pag. 16), il che mi fa sobbalzare sulla seggiola. Ma in effetti, se nel mondo tutti gli umani, o quantomeno la parte più consistente, diventasse vegana, una parte dei problemi ecologici sarebbe risolta – minor produzione di anidride carbonica, meno inquinamento da trasporto, meno consumo di materie alimentari, meno spreco di cibo, eccetera – e si vedrebbero scomparire quei lager autorizzati che sono gli allevamenti intensivi di animali cresciuti soltanto per il nostro fabbisogno alimentare. Un gran giorno, comunque, quello, quando e se mai la nostra specie dovesse vederlo. Ovvero, prendere in considerazione l’opzione vegana, ai nostri tempi, è parte dell’anticipazionismo, ossia di quel modo di vedere e di ragionare e di percepire il reale che ci consente di preannunciare cosa un domani diventerà importante, portante, ineludibile, e anticiparlo già ad un oggi più prossimo.

È altrettanto interessante soffermarsi sul fatto che il vegan coltiva «l’idea di eliminazione di ogni violenza non necessaria su forme di vita animali». Francescanesimo, buddismo, pacifismo? Credo che sia ben fondata la visione espressa da Umberto Veronesi, secondo il quale «l’alimentazione vegetale è una priorità affinché l’umanità possa evolversi»: l’uomo del futuro saprà imboccare questa scelta, così come ripudiare la violenza, ogni forma di razzismo che è poi l’altra faccia dell’ignoranza, purtroppo entrambi epidemie psichiche ritornate di moda, in questo disordinato e pauroso scorcio di nuovo millennio. Può sembrare assurdo disquisire di questi temi quando al mondo, ogni anno, muoiono di fame circa 900 milioni di persone, ma il nuovo vegano che tenta di tratteggiare Caffo è anzitutto un «testimone», anche se non si capisce ancora bene di cosa sia portavoce. Di certo del dolore di miliardi di animali usati solo per consentirci di avere carne in abbondanza e quando ci pare, da ferragosto a natale, da Capo Nord a Tokyo. Vegan insomma è un libro che traghetta, che apre, che suggerisce, con intelligenza e qualche opportuno scrupolo. Al momento, chi scrive, non sarebbe in grado di rinunciare al piatto di tagliolini al ragù, ne è dipendente, schiavo, credo di averne assoluto diritto, oltre che piacere. Ma è davvero così, mi chiedo? Davvero possiamo ancora pensare che tutto non ci riguardi? Che non sarà certo il pesce che mangio a fare la differenza? Non sarà di certo il maiale che acquisto che fa la differenza? Non sarà di certo l’inquinamento della mia auto che ammala il pianeta? La risposta non è affatto scontata. Proviamo a metterci alla prova, iniziando magari dalle cinque buone intenzioni che aprono l’ultimo capitolo del libro di Caffo.