Non solo Wolf of Wall Street e’ il migliore film dell’anno in un anno pieno di bei film, ma l’epico, monumentale slapstick di Scorsese sugli eccessi del capitalismo crepuscolare e’ anche un lavoro che vede il settantunenne regista tornare alla sua forma degli anni migliori e Leonardo Di Caprio dare forse la sua prova migliore di sempre. Si tratta dell’adattamento delle omonime memorie di Jordan Belfort, rampante broker di Wall Street e fondatore negli anni ‘90 della Stratton Oakmont, un agenzia di titoli che in breve trempo divento’ rinomata per la folgorante crescita e vertiginoso volume di affari.  La Stratton Oakmont era specializzata nel trading di titoli di piccolo cabotaggio, cosiddetti “penny stocks”, suscettibili, se espertamente pilotati,  di forti fluttuazioni. Un arte di cui Belfort  divenne maestro, ammassando favolosi guadagni grazie a pratiche di trading extralegali prima di venire arrestato dall’FBI e condannato a 22 mesi di reclusione nel 2003; uno degli antieroi minori negli annali dell’era della cupidigia che nell’ultimo decennio ci ha dato la Enron, Michael Milken, Bernie Madoff, Lehman Bros.,  il “London whale” e Calisto Tanzi.  Nella lente di Scorsese la storia dei crimini finanziari di Belfort e’ una modulazione di quelli dei “Bravi Ragazzi” in Goodfellas e la scelleratezza di Wall Street nell’era dei “banksters” si sovrappone infine alla grande epica gangster americana. Un racconto di eccesso “congenito” che e’ allo stesso tempo la narrazione piu’ autentica di questo presente. Il film e’ infatti una amara istantanea dell’immoralita’ trionfante dell’oligarchia finanziaria, esilarante quanto  Una Poltrona per Due ma molto piu’ scura del film di Landis sulle malefatte dei miliardari, poiche’ Wolf racconta i prordromi del cataclisma finanziario che ci avrebbe tutti travotli di li a molto poco. Belfort, coi suoi misfatti seriali nel nome del successo, con la sua ossessione “erotica”  per il  denaro,  e’ l’embrione della finanza impazzita che, nell’eta’ dei subprime, dello spread e del default,  si ritorce incontrollabile contro l’umanita’.

Quando all’inizio del film incontriamo Jordan Belfort come apprendista broker, e’  un ragazzo che entra come mille altri negli atri istoriati di Wall Street con gli occhi che gli brillano. Il suo talento naturale viene subito riconosciuto e  affinato da  Mark Hanna (Matthew McConaughey: geniale) che lo prende sotto la sua protezione. Hanna impartisce al pupillo le regole base del suo mondo scintillante e spietato in un pranzo “iniziatico” di lavoro che e’ una  sequenza destinata a rimanere, come la scena dello specchio in Taxi Driver o il pranzo di famiglia I Toro Scatenato,  nel panteon scorsesiano. Belfort prende nota ed e’ subito chiaro che ha l’istinto del predatore, dote preziosa nella giungla della “Street”. I titoli “piazzati”  con le televendite regalano una botta di adrenalina a cui Belfort e’ assuefatto gia’ alla fine del primo giorno. Le  sue  droghe sono il successo, il potere sui clienti imbelli, la cocaina,  poi i quaaludes (i sedativi ipnotici in voga negli anni ’80 e ’90), ma soprattuto i soldi e il sesso. Due facce quest’ultimi della stessa medaglia, talismani intercambiabili di desiderio maschile che sono la moneta sonante di una Wall Street parossisticamente fallica.  Cosi’Belfort e i suoi alternano televendite ad orge con squillo in affitto per tutto il personale, si abbandonano a baccanali da far impallidire un backstage da tournée rock, festini crepuscolari per cui Di Caprio non  caso cita Caligola come ispirazione. Un Turbine di mogli amanti, yacht e fuoriseire e un fiume in piena di droga e alcol che Scorsese rappresenta come un mondo al contrario, rimosso dalle regole della legalita’  e irrorato di denaro, in un registro,  appeso fra lo screwball  demenziale e il teatro dell’assurdo (o un Blake Edwards in acido come ha giustamente osservato un mio amico critico). E la commedia demenziale e’ la sintassi ideale per raccontare la finanza abberrante che per molti versi e’ la cifra dei nostri tempi. Dopo le molte collaborazioni con Scrosese, Di Caprio entra qui per la prima volta in piena sintonia col regista, diventa il De Niro di Mean Streets – e Jonah Hill, suo compare e comprimario,  si avvicina a Harvey Keitel.

L’abberrazione  dell’ ”american dream” in orgia di brama incontrollata non era mai stata rappresentata cosi’ bene e nemmeno la tracotanza, l’Hybris, che anima il cuore della finanza. Wolf of Wall Street e’ vicino in questo alla sublime rappresentazione di “bancarotta spirituale” fatta da David Mamet in Glengarry Glen Ross. Ma se il  furto e’ l’anima del commercio, qui allora il motore della finanza somiglia piu’ a criminalita’ organizzata, un’associazione a delinquere che inevitabilmente rimanda ad una cronaca che negli ultimi anni e’ diventata quotidiana. Dietro la facciata rispettabile, come abbiamo tutti imparato,  si celano operazioni da narcos, con analoghi fiumi di dollari,  “legittimi” perche’ proventi di operazioni finanziarie.

Leonardo Di Caprio sostiene che il suo Jordan Belfort conclude una personale trilogia dell’opulenza e dell’avidita’ che comprende lo schiavista della piantagione di Django e  il Jay Gatsby appena interpretato per Baz Luhrman. Il miliardario di Fitzgerald,  a Long Island aveva la villa dove scialquava favolosi patrimoni sullo sfondo dell’incipiente tracollo economico. Belfort, nello stesso quartiere, getta le basi della sua operazione che si limita ad applicare le pratiche dei grandi brokerage di Wall Street alla truffa telefonica perpetrata con una manciata di compari da un magazzino in affitto. Lui e’ un lupo famelico, stragto dal frutto proibito come un  piccolo Cesare o un Tony Montana. Come quei predecessori e’ mosso da un’istintivo desiderio di consumo: incontrollato, ossessivo, sfrenatamente drogato ma anche perversamente umano.

Domande a Martin Scorsese

Perche’ questo film?

La scelta é stata di farlo come una sorta di provocazione su cio’ che accade a Wall Street. In tutta franchezza io non sono un esperto sul mercato. Ma non c‘é bisogno di conoscere i dettagli per sapere che ci stanno rapinando. Non voglio dire che tutti lo facciano ma certo esiste questa diffusa mentalita’. E un mondo e che esalta la ricchezza e giustifica qualunque cosa per raggiungerla, non fa che promuoverla. Fino ad un certo punto e’ un impulso universale che e’ sempre esistito – basta vedere la speculazione dei tulipani in Olanda, e poi naturalmente il crac del ’29. E la speculazione si basa sulla truffa, sull’abilita’ di convincere una vittima ad investire, come dice Matthew McConaughey nel film, convincerli a credere in te, a darti fiducia. Ne ha scritto anche Herman Melville nel suo ultimo romanzo, The Confidence Man. Tu dacci la tua fiducia e noi ti  distruggeremo nel nome dei profitti. E’ una follia. Io ricordo un altra America quando crescevo nel quartiere italoamericano di New York, si parlava ancora di ricerca della felicita’, di uguaglianza e diritti civili. Voglio dire che questo paese ha sempre avuto l’idea di opportunita’ per tutti , e io ne ho sicuramente  tratto profitto. Ma non significa il diritto alla ricchezza spropositata. Io credo che tutti debbano poter migliorare le proprie condizioni. Ma se si postula invece il diritto assoluto a diventare ricchi allora si rischia la corruzione morale. E credo che negli ultimi 30 anni quest’idea purtroppo abbia preso il sopravvento.

E il risultato?

Abbiamo pagato un prezzo in valori, non c’e’ dubbio. Si e’ perso quello della solidarieta’, di pensare anche a chi soffre vicino a te,  pensare agli altri. E’ davvero importante cercare di comprarsi uno yacht? Cinque macchine? Avere una villa col guardiano? Non avere a cuore gli altri significa regredire allo stato selvaggio

Vede una somiglianza fra la mafia che lei ha spesso raccontato, e il mondo di Wall Street?

Ritengo che per molti versi la finanza e’ anche piu’ pericolosa e meno etica  della mafia. Non voglio negare il pericolo e i danni arrecati dal mondo della criminalita’, il numero di persone che danneggia. Ma in un certo senso cio’ che accade dietro la facciata di una presunta legalita’ e con la giustificazione del progresso economico, mi sembra perfino peggio. Di sicuro mi sembra che si faccia di meno per combatterla. Anzi la nostra societa’ promuove  e giustifica questa mentalita’. E quindi per questo credo che sia anche piu’ perisolosa.

Il film rammenta certi elementi stilistici di suoi lavori precedenti, Casino, soprattutto Goodfellas..

Si non nego che sulla superice Wolf pssa ricordare quei film, senz’altro. Quello he ho cercato di fare con questo film pero’ é stato creare un mondo e far entrare lo spettatore dentro quel mondo e imbarcarlo in un viaggio in cui le cose diventano rapidamente sempre piu’ assurde e piu’ divertenti e lo stile di vita ti coinvolge sempre di piu’ ed e sempre piu’ buffo e allo stesso tempo non e’ buffo affatto. Mi interessava creare l’energia di quella mentalita’ che ti fa mentire, rubare, tradire, approfittarti, prenderti tutto quello che ti pare perche’ lo puoi fare. Nessuno te lo impedisce perche’ la moralita’ e; stata cancellata, sospesa e cosi’ non hai nessuna esitazione a gratificarti.

Domande a Leonardo DiCaprio

Da dove viene quest’idea che l’avidita; é una cosa giusta e naturale?

Ho riflettuto molto su questo impulso, ho pensato che fosse una caratteristica di un determinato periodo storico ma pi ti rendi conto che e’ un istinto universale e fondamentlae. Senza opportunismo  e avidita’  non potrebbe esserci vita, lo vediamo in ogni specie. LA domanda pero’, quella che pone questo film e’ se noi ocme esseri umani, come esseri intelligenti, possiamo progredire al punto di  convievere con gli altri senza approfittarci di loro. Belfrot sicuraemnte no. Anche se in confronto a quello che e’ accaduto nel 2008 lui era su una scala cetemnte minore, era un micorccsmo diun problema molto piu; grande. E sotto c;e’ l’idea di consumare sempre il massimo possibile e accumulare il massimo della ricchezza senza riguardo per gli altri. E’ un concetto imperante in qusto paese, e non soso.Per molti versi e; la radice  di scio’ che sta accadendo nel mondo.  E fin quando non riusciremo ad andare oltre continueremo  ripetere gli stessi errori per sempre.

Le crisi come quella attuale secondo lei sono inevitabili o ci sono repsonsabilita’ precise?

Credo che questi collassi economici si ripetano ciclicamente ogni 70, 80 anni soprattutto in questo paese perche’ generazione dopo genrazione dimentica cio’ che e’ avvenuto prima e gli sbagli che li hanno provocati. Se il mercato non viene regolato e’ inevitabile che ci sia chi si approfitti al massimo del prossimo. É quello che e’ successo con la crisi dei mutui, quello che é accaduto nel 2008. Queste crsisi non sarebero necessarie se solo imparassimo dal passato, ma non e’ cosi’.   E i governi che non regolano abbastanza le forze di mercato assicurano che tutto ricominci da capo. Questo film racconta l’apice di quel ciclo, il momento in cui il  mercato invita la truffa.

Personalmente cosa pensa degli investiemnti in borsa?

Credo sia un gioco  a cui si puo’ facilmente diventare assuefatti, la promessa di acquisire ricchezze sempre maggiori. Diventa fine a se stesso, astratto dal resto della vita. Ho incontrato molta gente cosî, gente che é costantemente motivata da questo  impulso, di solito a costo di ogni altra priorita’. Non che non ci siano persone ricche che sono anche sane e normali, ma ho visto molte persone consumate da questa smania, un asorta di assuefazione all’avidita’. Tutti vogliono guadagnare di piu’ ma se diventa un ossessione, la tua vita puo’ diventare piuttosto miserabile.

Ha conosciuto e passato molto tempo con il vero Jordan Belfort. Cosa ha imparato da lui?

Non conoscendo Wall Street presumevo che tutti I broker lavorassero in grandi conglomerati e diventassero ricchi gestendo fondi di investimento di grande prestigio. Invece ho capito che Belfort e i suoi complici erano ragazzi di Long Island che volevano emulare Gordon Gecko (protagonistya di Wall Street di Oliver Stone ndr.) volevano essere dei pezzi grossi ma di certo non lo erano. La loro operazione e’ crescita dismisura in modo imprevisto, erano una versione minore della vera truffa, quella che allo stesso tempo, poco distante, nei grattacieli di Wall Street,  veniva perpetrata di miliardi ai danni di tutti noi.