Il primo e più grande romanzo dell’antichità classica, il Satyricon di Petronio, resta una bella lettura per la modernità, è ovvio, anche se «frammentario» e così legato alla temperie neroniana del primo secolo. Sorprende che Andrea De Rosa, che proprio della classicità è sulle nostre scene uno dei più acuti lettori (da una antica Elektra, per altro «riscritta» ma da Hugo von Hoffmansthal, alle recenti Baccanti con un Dioniso androgino), abbia realizzato l’estate scorsa a Pompei un piuttosto pasticciato Satyricon (ancora oggi e domani all’Argentina). La traduzione di Francesco Piccolo dovrebbe essere una personale riscrittura, ma in realtà i due mondi poco si toccano. Nonostante diversi attori bravi e riconosciuti (da Antonino Iuorio a Anna Redi a Michelangelo Dalisi tra i molti) resta difficile accettare che le nefandezze dissolute e i grandi slanci e gli eccessi dell’originale, si ritrovino nei discorsi inaudibili del branco di personaggi disperati in palcoscenico, e anche in platea. Si ascoltano chiacchiere che si possono captare alle fermate degli autobus, o al massimo nei talk tv pomeridiani. Senza nesso né senso, se non quello della chiacchiera pura, qui per di più reiterata e ossessiva fino ad essere del tutto svuotata. Pensando forse a La grande bellezza, si arriva presto a «la grande sciocchezza». Con buona pace di tutti, Fellini compreso.