La formula Mostra + Libro targata CinemaSud, la piccola casa editrice nata da una costola dell’omonima storica rivista fondata ad Avellino da Camillo Marino alla fine degli anni ’50 e tenuta in vita e diretta da Paolo Speranza, si è rivelata vincente. Dopo l’omaggio a Luigi Zampa nel 2017 e quello a Cesare Zavattini nel 2019 che ha prodotto il volume «I sogni migliori» curato da Orio Caldiron che raccoglie gli scritti sul cinema del grande sceneggiatore, ora è la volta di Federico Fellini ricordato in occasione del centenario della nascita. L’iniziativa è organizzata in collaborazione con lo storico Festival «Laceno d’oro» anche questo fondato nel 1959 da Marino e arrivato quest’anno alla 45a edizione, nell’ambito del quale vengono in genere allestite le mostre. Il vulcanico e intraprendente Paolo Speranza, operatore culturale e storico del cinema nonché inesauribile collezionista di riviste di cinema e non solo e di articoli, copertine, foto e manifesti d’epoca, ha pensato a un intrigante abbinamento libro-mostra intitolato «Federico Fellini. Da via Veneto a La dolce vita» che vuole uscire dall’overdose delle celebrazioni rituali del Maestro di Rimini e di omaggi alcuni simili e scontati, per circoscrivere il tributo a uno dei momenti-chiave della straordinaria carriera artistica di Fellini, contestualizzando al tempo stesso il ricordo di uno dei più famosi capolavori felliniani grazie al coinvolgimento proprio della rivista «CinemaSud» e rivendicando con un pizzico di orgoglio la dimensione del «villaggio globale» irpino. Tutto parte infatti da quel numero di febbraio-marzo 1960 della rivista con un fotogramma del film in copertina gelosamente custodito e messo a disposizione da Speranza. La battaglia del periodico per «La dolce vita» contro la censura vide scendere in campo in prima persona proprio il direttore Marino che scelse il titolo «Invito al coraggio», perché di coraggio ce ne voleva in quei giorni, quando il film, dopo essere stato contestato dai «benpensanti» a Milano, fu investito da un’ondata polemica e da più parti si invocava il ritiro dalle sale ad opera della commissione ministeriale di censura e volle dedicare al caso un numero speciale di «CinemaSud», con tanto di copertina, editoriale e tre interventi analitici sul film, a firma di uno storico del cinema già affermato come Mario Verdone e di due giovani studiosi come i padovani Giorgio Tinazzi e Orio Caldiron.

Pochi mesi dopo, «La dolce vita» avrebbe conquistato la Palma d’Oro al Festival di Cannes e ben presto nessuno avrebbe più messo in discussione gli attributi di capolavoro al film e di Maestro del cinema mondiale a Fellini, ma per almeno sei mesi, dopo la «prima» mondiale a Roma il 2 gennaio 1960, il film spaccò letteralmente l’Italia in due, rivelando più di ogni dibattito politico i valori profondi che ispiravano, e separavano, l’opinione pubblica progressista e le forze della reazione. A guidare la crociata oscurantista era stato addirittura il Vaticano, con un memorabile corsivo de «L’Osservatore Romano» intitolato «Basta!». E ora arrivano un volume e una mostra curati da Orio Caldiron (che a sessant’anni dal film e da quel numero speciale, torna sul luogo del delitto) e Paolo Speranza per approfondire l’episodio di censura e arricchire l’argomento con nuovi contributi critici. Il libro (Edizioni CinemaSud, pagg. 208, euro 12,00) uscito poco prima di Natale, contiene 2 inserti fotografici, uno in bianco e nero e l’altro a colori, per un totale di 55 immagini. Si tratta in prevalenza di articoli e copertine dell’epoca (dall’archivio di «Quaderni di CinemaSud»), alcuni dei quali rari e quasi introvabili, e alcune foto e disegni di Fellini. La maggior parte di queste immagini è riprodotta e presentata nella mostra omonima, in 40 pannelli di formato 70 x 50 cm., che è stata inaugurata in modalità online al «Laceno d’Oro» e sarà allestita post-Covid nei due cinema di Avellino (Partenio ed Eliseo), per poi diventare itinerante. Lo scritto di Caldiron e i nuovi contributi di analisi e documentazione sul contesto che portò alla realizzazione e al successo del film, a firma di Antonio Costa, Anton Giulio Mancino, Luca Pallanch aprono nuovi scenari esegetici se non altro per dialettizzare la vicenda di ottusa censura all’uscita del film e il percorso critico successivo che al contrario non ha più conosciuto riserve o ridimensionamenti del capolavoro.
Il volume presenta inoltre uno scritto del 1985 di Michelangelo Antonioni, dedicato a Fellini, e un ampio apparato di cronologia, bibliografia e filmografia felliniane.