Nelle pagine che Antonella Renzitti dedica a Carlo Lorenzetti nel catalogo che accompagna Segno e Parola: Carlo Lorenzetti e il Lessico intellettuale europeo (la mostra è visitabile fino al 31 maggio presso l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma) c’è moltissimo del lavoro, del tempo, del modo di procedere e, soprattutto, del connubio tra l’artista e la sistematica, rigorosa operazione con cui il Lessico prova a individuare il senso profondo di ogni concetto filosofico che nella precisione terminologica ripone la possibilità di essere chiaro. Ma, insieme a quelle pagine, si aggiungono altre considerazioni nel guardare gli studi e i disegni in mostra.

Ci si trova a stupirsi, insieme al proprio sguardo, per la nettezza di ogni singolo segno che pure determina il lento trapasso dalla luminosità allo scurirsi, un visivo ossimoro che determina la nitidezza dell’ombra. Lorenzetti ha sempre amato non parlare molto, lasciare alla sua mano l’incarico di spiegare il senso della sua ricerca e del suo insegnamento e questo accogliente silenzio fa venire in mente il punto in cui Leonardo, nel Trattato sulla pittura, invita a capire i concetti che devono dipingersi facendosi aiutare da un muto: «e non ti ridere di me, perché io ti proponga un precettore senza lingua; perché meglio t’insegnerà egli co’ fatti, che tutti gli altri con parole; e non sprezzare tal consiglio, perché essi sono i maestri de’ movimenti ed intendono da lontano di quel che uno parla».

Ecco, l’artista romano è la metafora di questo invito leonardiano e lo si intende proprio nel constatare come ha reso visibili co’ fatti delle sue linee, senza nessuna forzatura analogica, i concetti filosofici che via via il Lessico ha indagato. Le opere che Lorenzetti ha pensato per accompagnare (in forma di locandina o copertina degli Atti dei Colloqui) la parola-concetto annualmente scelta creano, pur nella loro assoluta autonomia e senza alcuna subalternità, una sorta di disponibilità e accoglienza del segno linguistico, riuscendo nella difficile alchimia di trasformare quel segno linguistico in un contenuto semantico puramente visivo, proprio come accade anche nei suoi libri d’artista da lui curati fino alla completezza dell’oggetto.
Confrontando le opere pensate per il Lessico con altre slegate da quel rapporto, si è certi allora che tutto ciò che è pensabile entra nella grafica, nella scultura e nella pittura di Lorenzetti ben oltre qualsiasi committenza o dialogo con la parola e ogni misurato segno di grafite o inciso o reso sottilmente tridimensionale agisce come il rasoio di Occam. Tagliando via ogni concetto o ipotesi superflua, quando l’essenziale è più che sufficiente a spiegare.