Xi Jinping nella storia e un comitato permanente, i sette uomini più potenti della Cina, senza un successore immediato del numero uno. Il bilancio fattuale del diciannovesimo congresso del partito comunista cinese anziché chiuderle, apre a nuove speculazioni e riflessioni sul futuro del paese. Il leader Xi Jinping è arrivato a questo congresso forte della sua popolarità interna e internazionale e intenzionato a rimarcare la sua posizione.

Lo ha fatto però sottolineando l’importanza suprema del partito su tutto; partito che tra l’altro lo stesso Xi ha tirato fuori da una pericolosa situazione creatasi negli ultimi anni: un Pcc che alla popolazione cinese risultava distante e alieno a causa dei tanti scandali, dell’impunità di cui sembravano vantarsi molti funzionari, degli abusi di potere compiuti, dell’ottusità dimostrata nella gestione di alcune situazioni di natura sociale.

Non si può certo parlare di crisi di rappresentanza come siamo abituati in occidente in un paese che è governato da un partito unico, ma i sintomi di una crisi di legittimità e della perdita di fiducia popolare nei confronti di un partito che appariva sempre più sganciato dalla vita reale, cominciavano a essere troppo rischiosi per il «mantenimento della stabilità» e per garantire la realizzazione del «sogno cinese».

Xi Jinping con la campagna anti corruzione e una propaganda al passo con i tempi, unitamente alla spinta sulla «moderata prosperità» e la necessità di eliminare le sacche di povertà del paese, ha riportato il partito al centro della scena politica economica e sociale della Cina, rinvigorendolo, dandogli nuova linfa e dimostrando di poter essere ancora l’asse attorno al quale agganciare la «rinascita della nazione cinese».

[do action=”citazione”]Con questo risultato non da poco Xi Jinping ha deciso di giocarsi le proprie carte, dimostrando di saper utilizzare il proprio potere senza abusarne, aumentandone anzi il peso «storico».[/do]

Ottenuto il riconoscimento epocale del proprio pensiero inserito nello statuto del partito comunista, come capitato solo a Mao Zedong e Deng Xiaoping, ha prima mediato sulla posizione di Wang Qishan il capo dell’anticorruzione, consentendone il suo ritiro dai livelli apicali.

Infine ha consentito la nascita di un comitato permanente che tiene conto delle diversità di vedute all’interno del partito, molto meno monolitico di quanto spesso venga rappresentato.

Non per questo ha mancato di fare valere il suo peso politico: l’assenza di un successore chiaro e limpido all’interno del comitato permanente, dato che tutti i membri attuali sono troppo in là con gli anni per poter ambire a prendere le redini di Xi nel 2022, rende l’attuale numero uno ancora forte al comando.

[do action=”citazione”]Con un successore, come Hu Chunhua o Chen Min’er i due favoriti, dentro al comitato permanente Xi rischiava di diventare un’anatra zoppa.[/do]

In questo modo invece mantiene saldo il suo controllo, pur mediato, e può spingere sulla sua idea di «socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era» senza dover fare i conti con un suo potenziale successore a sgomitare.

Xi ha già dimostrato di saper forzare consuetudini e liturgie; in questo caso si è creata una situazione nuova che se può garantire cinque anni di dominio, potenzialmente non è avara di rischi data la storia del Pcc. Ora le speculazioni sono già sul tavolo: l’ipotesi più accreditata è che Xi possa abbandonare la presidenza della Repubblica cinese nel 2022 raggiunto il decimo anno, ma mantenere la carica di segretario del Partito oltre i dieci anni, nominando nel comitato permanente la «sesta generazione» solo nel 2022.

È un’ipotesi, ne arriveranno sicuramente altre nei prossimi anni. Quello che conta è lo stato di salute dell’attuale leadership e del partito. Il Pcc appare compatto intorno al suo leader, l’ingresso nel comitato di Wang Huning considerato un teorico, già consigliere dei precedenti numeri uno Jiang Zemin e Hu Jintao, nonché di Xi, dimostra dopo l’epoca dei tecnocrati la restituzione di importanza data all’ideologia e al controllo teorico del Partito e della società cinese. Wang – già soprannominato il Kissinger cinese dal Guardian – era noto per le sue pubblicazioni e i suoi studi sul «neo-autoritarismo».

Per il resto anche l’iscrizione nello statuto del Pcc della «nuova via della Seta» ci racconta che Cina sarà quella dei prossimi anni: un paese proiettato sulla scena internazionale, con una leadership salda e sicura di potersi muovere con il supporto di tutto il partito. Lo stesso Xi, del resto, nel suo discorso ha nominato la parola «partito» più di ogni altra. Entrato nella storia il suo pensiero, ora Xi Jinping può concentrarsi nel mantenere vivo il cuore politico del paese, di cui è capo indiscusso, proiettandolo nel futuro della vita cinese e del mondo globale.