Venticinque anni dopo la caduta del muro di Berlino, forse ci siamo: un Land guidato da un governatore della Linke non è più un’utopia. Dopo settimane di consultazioni fra i partiti, tutto lascia pensare che la Turingia stia per diventare la prima regione tedesca ad avere un esecutivo progressista di coalizione con alla testa un esponente della formazione lontana (e critica) erede della Sed, il partito-stato della Germania est. Fra Linke, socialdemocratici (Spd) e Verdi l’accordo è vicino: nella serata di mercoledì le rispettive delegazioni hanno trovato un’intesa di massima. Ora la parola passa agli organismi dirigenti locali.
Se lunedì la segreteria Spd darà il via libera, in breve nascerà il primo governo di Bodo Ramelow, 58enne ex sindacalista del settore commercio, nato nell’Ovest ma da anni leader della Linke nella regione di Erfurt. Un esito diverso è, ovviamente, ancora possibile. Ma la maggioranza degli analisti e degli attori in scena ritiene probabile la nascita della coalizione «rosso-rosso-verde». Il risultato del voto dello scorso 14 settembre lasciava aperte due opzioni, equivalenti per numero di seggi nel parlamento regionale (Landtag): la conferma della «grande coalizione» Cdu-Spd o l’avvio dell’esperimento di alleanza delle sinistre. Uno scenario che ha messo il pallino del gioco in mano ai socialdemocratici, determinanti in ogni caso, nonostante siano stati la lista uscita più indebolita dalle urne (-6,1% rispetto alle regionali del 2009).

Un brusco arretramento, quello della Spd, che in molti nel partito hanno attribuito proprio all’intesa con i democristiani della governatrice uscente Christine Lieberknecht, mentre una minoranza «anticomunista» lo ha imputato, al contrario, al mancato nein preventivo all’accordo con la Linke. In Turingia il «fattore K» ha ancora un peso, a differenza di quanto accade in altri Länder della ex Ddr come Meclemburgo, Brandeburgo o a Berlino est: sull’elaborazione del passato la Germania orientale non è omogenea. Un tema che i negoziatori hanno trattato con attenzione, partorendo alla fine una dichiarazione comune sul carattere dittatoriale dello stato real-socialista. Più esattamente, la Ddr è stata riconosciuta quale «Unrechtsstaat», parola traducibile come «stato di non-diritto» o «stato d’ingiustizia». Servita a soddisfare una richiesta dei possibili alleati, la presa di posizione sul passato ha generato un dibattito acceso nella stessa Linke: il leader storico Gregor Gysi non ha nascosto il proprio disappunto per una definizione che tende ad assimilare la Germania real-socialista a quella nazista.

In attesa che l’accordo vada in porto in Turingia, si è già giunti alla meta in Brandeburgo, l’altro Land andato al voto un mese fa. I vertici locali di Spd e Linke hanno siglato l’intesa per proseguire a governare insieme per altri quattro anni, confermando alla guida dell’esecutivo il socialdemocratico Dietmar Woidke. Tra i punti programmatici concordati: investimenti in scuola e università, assunzioni nella pubblica amministrazione, politiche per accoglienza e integrazione di profughi e migranti, nessuna chiusura di ospedali. Il patto deve essere convalidato ora dagli iscritti della Linke e dal congresso della federazione locale della Spd: scontato il «sì» in entrambi i casi. Se la Turingia imiterà il Brandeburgo, il governo federale di Angela Merkel sarà di molto sotto nel secondo ramo del Parlamento, la Camera delle regioni (Bundesrat). E verrà lanciato un segnale politico incoraggiante: non per forza la Germania morirà democristiana.