Quando ha iniziato la lavorazione del film di certo Christopher Nolan non poteva immaginare che in un «futuro prossimo» sarebbe divenuto il salvatore del cinema mondiale, un po’ come il suo Protagonista (John David Washington) chiamato a salvare il mondo. Blockbuster dell’estate annunciato infinite volte, poi smentito nell’orizzonte di un’economia che vacilla sotto gli effetti del virus, specie quella dell’industria americana condannata da numeri di contagi ancora altissimi, nuovi lockdown e oscene politiche trumpiane, Tenet arriva oggi nelle sale italiane (600 copie) e europee prima che oltreoceano, un altro degli effetti stranianti della pandemia, con la speranza anche qui che possa rilanciare il sistema.

MA COSA è questa nuova produzione del regista di Interstellar e Dunkirk la cui forma grandiosa e glaciale – è girato in Imax – a questi due titoli della sua filmografia «guarda»? Col primo condivide la consulenza del fisico Kip Thorne, al secondo rimandano le immagini delle battaglie. Senza timore di spoiler – l’incubo della Warner Bros in America – e nella convinzione «classica» (non solo hitchcockiana) che la suspense è il «come» e non il «cosa» Tenet è un «Intrigo internazionale» dentro a un tempo reversibile che minaccia l’ordine lineare del mondo, tra fisica quantistica, ammiccamenti filosofici – la scelta, il caso, il libero arbitrio – i versi di Whitman, «Viviamo in un mondo crepuscolare» è la parola d’ordine per riconoscersi- le catastrofi del secolo scorso e le paure e le politiche di questo del quale il regista si rappresenta autore per eccellenza.

La questione è semplice: qualcuno vuole distruggere il mondo. Ma chi, e soprattutto quale mondo? Perché il pericolo arriva da un non meglio precisato futuro in un altrettanto imprecisato presente (o passato?), è un algoritmo potentissimo che inverte il flusso dell’entropia di ogni oggetto, un’arma così pericolosa da spingere la sua inventrice al suicidio. È la posterità che si ribella a chi l’ha preceduta, le generazioni dei figli contro i genitori colpevoli di un’eredità di disastri. Robert Pattinson lo spiega al Protagonista come il paradosso del nonno, ovvero se uccidi chi è venuto prima di te potrai esistere? Non abbiamo risposta ma poco importa. Lui è un fisico, lo hanno mandato per aiutare il Protagonista nella missione, è misterioso, forse ha troppi segreti, o addirittura ha tradito: ma come dice qualcun altro nel nostro lavoro la parola data non esiste.

In questa torsione temporale – nella quale anche i proiettili sono «invertiti» – la sostanza dei fatti non muta: Tenet è un palindromo, frase o parola che letta in senso inverso non cambia di significato. Tutto è già accaduto, o tutto deve ancora accadere, prima e dopo sono concetti superati, si va all’inverso, il salto moltiplica l’io, lo rende multiplo e irriconoscibile a sé stesso.

EPPURE la linea narrativa di Nolan non si modella su un flusso di coscienza, al contrario procede con una certa «linearità»: la coppia degli «eroi» amici anche alla prova l’uno dell’altro, una donna, la sola che sembra vivere nel presente forse perché Madre (Elisabeth Debicki), moglie del cattivo, un oligarca russo (Kenneth Branagh) che si sente Faust (o la sua caricatura) e vorrebbe essere dio e invece per ora si deve accontentare di galleggiare intorno al mondo su uno di quei mega yacht che si incontrano d’estate nel mediterraneo e di accumulare ricchezze loschissime. Sarà che è cresciuto in una città segreta da guerra fredda della ex-Urss poi nel post-sovietico di nefandezze, ma vuole tutto e non tollera non esercitare il controllo. Ha un nome strano, Sator (quello della frase palindromica latina sator arepo tener opera rotas, nel latercolo pompeiano con visita a Pompei annessa) che torna ovunque, quasi un cruciverba dell’ambizione. La stessa di Nolan – e del suo cinema post tutto – in cui l’intensa esperienza del tempo viene dirottata – invertita? – per attraversare i generi, i codici, l’immaginario tutto nella sua dimensione spettacolare. Dove siamo chiede all’amico il Protagonista, nella realtà, è la risposta. Eppure.

Kiev, lì tutto inizia, vero, falso non è quello il punto. Qualcuno attacca un teatro, e col gas uccide gli spettatori: è successo? Certo, a Mosca, uccisero tutti i «colpevoli» che dissero erano terroristi ceceni, passato recente. Dopo ognuno dei personaggi si porta un pezzetto di segreto: una possibile alterità? Da Kiev si attraversa il pianeta: Mumbai, Amalfi, Tallin, i set somigliano a James Bond – che pare al regista piacerebbe realizzare – ma almeno Amalfi pure un po’ a Vertigo, la donna è bionda e sottile, rivive due volte forse tre. E gli eroi?

LA GUERRA è in agguato, ma è sempre un altro mondo, il tempo si inverte, dall’altra parte si cammina all’indietro, si corre all’indietro: dettagli che erano sfuggiti, ma è davvero possibile cambiare le cose o ci si può salvare solo dopo averle viste due volte da punti di vista differenti?
Nolan non è Kubrick – e Tenet non è 2001 – il suo viaggio appare piuttosto come un’opera di destrutturazione non senza compiacimenti per smontare il meccanismo temporale del cinema che è la sua essenza, la sua stessa materia. E per farlo usa una storia di «buoni» e «cattivi» come tante altre. Un gioco in cui riconoscersi è persino troppo facile.