A centocinquant’anni dall’inizio delle esplorazioni nella collina di Hissarlik, dove i versi omerici si fecero realtà, Massimo Cultraro rende omaggio a Heinrich Schliemann, il più osannato ma anche criticato fra gli archeologi di tutti i tempi. L’ultimo sogno dello scopritore di Troia (Edizioni di storia e studi sociali, pp. 208, euro 16) non è solo una delle circa quattromilacinquecento opere prodotte dalla Schliemannia – ironica definizione dell’archeologo greco George Korres – ma una chance di difesa che l’autore si pregia di concedere a un personaggio la cui fama «incontrollata» attirò le ire di molti.

DAVID TRAILL, il più accanito fra i denigratori di Schliemann, lo considerava un impenitente mistificatore per via delle manipolazioni riscontrate nei diari a partire dalla scoperta, nel 1873, di un insieme di oggetti in metalli preziosi attribuiti al re Priamo. Non dello stesso avviso Manfred Korfmann, che dal 1988 (e fino al 2005) riprese le indagini a Troia asserendo l’oggettività di Schliemann nel presentare i dati di scavo.
In questa querelle s’inserisce la ricerca di Cultraro, convinto che solo la disamina di carte inerenti la vita privata dello studioso tedesco, possa offrire un contributo alla ricostruzione della sua complessa personalità. Ed è all’archivio donato nel 1936 alla Gennadius Library di Atene da Agamennone e Andromaca, i figli nati dall’unione di Schliemann con Sophia Engastroménos, che l’autore attinge. Tale «scrigno» è costituito da diciotto diari di viaggio, scritti tra il 1846 e il 1890 nella lingua del paese visitato, e da un fitto epistolario.

[object Object]

IL VOLUME SI CONCENTRA in particolare sull’«insolito Grand Tour» compiuto nel 1858 e poi nel 1868 tra Lazio, Campania e Sicilia – con brevi incursioni in altre terre, dal Piemonte alla Sardegna, nel 1864 –, quando colui che riportò alla luce le rovine di Troia era ancora un intraprendente uomo d’affari, arricchitosi col commercio di indaco e armi durante la Guerra di Crimea. Dall’analisi dei diari scaturisce una cronistoria degli spostamenti che, se non riesce a diventare narrazione avvincente, ha il merito di rivelare aspetti originali di un protagonista del XIX secolo.

NEL PRIMO SOGGIORNO in Italia, effettuato tra novembre e dicembre del 1858, Schliemann raggiunge Roma dalla Germania e alloggia presso l’Albergo della Minerva, nell’omonima piazza. Da qui si muove per le vie della città accompagnato da un valletto, dedicandosi all’esplorazione dell’Urbe antica tra i Fori e il Palatino. Cultraro riporta le informazioni più significative del viaggio e alcuni aneddoti quali la fortuita partecipazione di Schliemann a una liturgia officiata da Pio IX nella Cappella Sistina.
Dal caput mundi, il mercante del Meclemburgo, a quel tempo residente in Russia con la prima moglie Jekaterina Petrowna Lyshina, si trasferisce nel Regno di Napoli. Lì raggiunge il cratere centrale del Vesuvio (divertente il racconto delle uova cotte dalla guida nelle sorgenti sulfuree) e si reca successivamente a Pompei ed Ercolano. Dei due siti, apprezzerà soprattutto Pompei e, colpito dal lusso delle domus, tenterà di portarsi via un frammento di stucco dipinto. Anche la tappa siciliana è ricca di peripezie, come l’affitto di una barca per guadagnare lo scoglio di Cariddi. Dieci anni dopo, Schliemann si dirige in Italia attraverso le Alpi, di cui descriverà i paesaggi ma anche gli imponenti lavori per la costruzione della ferrovia del Moncenisio.

NEL SECONDO soggiorno romano resterà soprattutto impressionato dalla statua di Pompeo a Palazzo Spada mentre a Napoli – oltre a fare ogni giorno il bagno al mare tra le 4.30 e le 6.00 – visiterà ripetutamente il Museo nazionale, dove avrà modo di soffermarsi sulle pitture pompeiane giudicate più spontanee dei quadri di Raffaello. Al museo incontrerà Giuseppe Fiorelli, figura di spicco dell’archeologia italiana postunitaria. L’avvenimento principale della tappa siciliana sarà invece l’ascesa all’Etna, con la quale completerà la conoscenza dei maggiori vulcani europei. Il viaggio del 1868 rafforza l’interesse di Schliemann per le antichità, una passione che ha radici nella sua infanzia.
Nel capitolo intitolato Libido Explorandi, Cultraro tratta dei rapporti intrattenuti dall’ormai popolarissimo «cercatore di tesori» con l’Italia nel 1875, allo scopo di inviare nella penisola la raccolta troiana mentre era in corso un contenzioso con le autorità ottomane per il trafugamento della stessa dalla Turchia. Vengono anche passati in rassegna gli scavi di Schliemann ad Alba Longa per iniziativa di Luigi Pigorini e quelli in Sicilia (Mozia, Segesta, Erice e Siracusa) sulle orme degli esuli troiani.

LA «SVOLTA ARCHEOLOGICA», tema che avrebbe meritato di essere approfondito mettendo a confronto le autobiografie ufficiali – quella redatta dallo stesso Schliemann nel 1881 in appendice al volume Ilios e l’altra, postuma, voluta dalla moglie Sofia – con il materiale che l’autore ha avuto l’opportunità di consultare in Grecia, è accennata nella parte finale del testo, in cui sono proposte le osservazioni etnografiche e antropologiche emerse dai taccuini di viaggio nel Belpaese. Sono queste le pagine più accattivanti del libro, in quanto contengono stralci dei documenti d’archivio. È Schliemann stesso che ci parla, nel suo italiano incerto ma elegante, delle serate trascorse all’Opera, dei pasti eccessivamente costosi e dell’ammirazione per la bellezza femminile ma non per le «civette». E chissà cosa avrebbe annotato dell’ultima passeggiata a Napoli, nell’aprile del 1890, se la morte non l’avesse colto prima di salpare verso l’Ellade.