Si direbbe che il sondaggio dell’amore omosessuale, le cui varianti occupano tutti i romanzi di Peter Cameron, gli richieda una sorta di gradevole understatement, che lo tiene lontano da qualunque forma di esplicitazione, mentre gli suggerisce dialoghi minimalisti, e un impianto narrativo tradizionale che di certo ha contribuito a fare dei suoi libri degli oggetti di piacevole intrattenimento. Tuttavia, l’ultimo suo titolo, Coral Glynn, grazie all’indovinato dosaggio di un cauto mistero, cui si univa l’invenzione di personaggi singolari animati da una certa, calibrata tensione, ha reso Cameron più interessante di quanto i suoi libri precedenti non avessero lasciato sperare. Una ulteriore testimonianza del suo work in progress sta nell’ultimo romanzo uscito in questi giorni in Italia, Il weekend (traduzione di Giuseppina Oneto, pp. 177 e 16) scritto da Cameron nel 2004, e pubblicato in una versione iniziale e limitatamente a alcune sue parti sulla «Yale Review»: il libro è di due anni successivo al romanzo titolato Quella sera dorata e precede di tre anni il suo più noto, Un giorno questo dolore ti sarà utile, non portando traccia né della cura messa nei personaggi dell’uno né della effervescenza ironica dell’altro, come fosse un titolo di passaggio, appunto, una sorta di prova d’autore in terza persona, non del tutto riuscita.
La vicenda, una modestamente nevrotica parentesi nella vita di sei personaggi su alcuni dei quali grava il ricordo di un amico morto, è inscritta nello spazio di un fine settimana e ambientata perlopiù nella villa campagnola di una facoltosa coppia di americani. Nonostante il ruolo protagonista sia assegnato a Lyle, un critico che ha decretato la condizione moribonda dell’arte – pratica a suo dire illusoria e dunque inutile – il suo profilo è tra i meno attraenti del libro: l’altro personaggio che gli contende la scena, Robert, un giovane pittore incontrato in una colonia per artisti del Maine e rapidamente sedotto, è reso già più interessante dalla instabilità emotiva che gli detta la sua condizione di poco più che ventenne. Inoltre, il fatto stesso di essere innamorato di Lyle più di quanto Lyle non sia innamorato di lui lo mette in quella situazione di debolezza che Peter Cameron predilege descrivere nei suoi personaggi: Robert dipinge paesaggi contemporanei, non ha una lira, accetta lo studio che gli offre Lyle, ignorando che quella stanza era appartenuta al compagno di lui, morto un anno prima, e si avventura nella vita del suo ospite senza difese, prima di accorgersi che non ha fatto presa, e che il suo amore non è ricambiato.

Il week end cui allude il titolo è lo spazio di tempo in cui tutto si decide, due giorni passati da amici di Lyle, dove Robert viene trascinato con una certa irresponsabilità, perché in quel fine settimana cade l’anniversario della morte di Tony, che non soltanto era il compagno di Robert, ma era fratellastro del padrone di casa e grande amico di sua moglie Marian, una donna psicolabile e attraente nella sua mancanza di diplomazia. Il mancato gradimento cui Robert va incontro non tarderà e venire manifestato, tanto che il ragazzo verrà in qualche modo indotto a rimettere a fuoco la situazione nella quale si è cacciato: parole di Marian poco confortanti su di lui e ascoltate suo malgrado, la fotografia di Tony insieme a Lyle in Egitto, la gentilezza distaccata di Lyle che non lo asseconda nelle sua dichiarazioni, tutto concorrerà a fargli abbandonare la casa del week end e a costringerlo a tornarsene per la strada dalla quale era venuto. Tra le pagine in cui scorre la vicenda principale si aprono flash back in cui Tony compare, ma senza imporsi: il fatto che lo sappiamo morto gli concede un vantaggio, la sua figura è rimpianta da tutti, ma i dialoghi riportati non lo rendono minimamente interessante e si direbbe dunque che Cameron non ne abbia fatto il suo personaggio prediletto: saggia scelta il cui minimalismo è tuttavia fin troppo accentuato. Intanto, altri slittamenti laterali nella esile trama accolgono il personaggio della donna italiana, che è attesa a cena dagli ospiti di Lyle e di Robert. Ed è proprio lei, a dispetto del suo ruolo di comparsa, la presenza più forte del libro, la più spregiudicata, la più diretta: Cameron le fa fare la figura di una pessima madre, e a sua figlia Nina fa fare la parte di una ragazza maleducata; ma Laura Ponti, questo il suo nome, è capace di creare rapporti vibranti con ognuna delle persone che incontra: con Robert, per esempio, che raccoglie sulla strada della stazione, mentre il ragazzo se ne sta scappando via da quel week end dove i fatti hanno congiurato a farlo sentire un intruso.

La condizione della prima giovinezza, con le sue esitazioni e il rischio di una confusione mentale sempre in agguato, è di certo l’età con la quale Cameron si sente più in sintonia, e quella che gli consente con più naturalezza la sua oscillazione tra il dire e il non dire, tra il nascondere e il rivelare, anche se i personaggi che gli riescono meglio sono quelli già decisamente avanti negli anni: la nonna di James in Un giorno questo dolore ti sarà utile, il maggiore Clement Hart nel romanzo Coral Glynn, il vecchio, affascinante Adam, che compare tra le pagine di Quella sera dorata.

Ciò che ha reso Peter Cameron un autore di culto è probabilmente la sua grazia, unita a una propensione alla ironia sulla quale non ha speculato, e che ha anzi si è lasciato alle spalle ormai da anni, mentre si conferma in ogni libro la centralità che assegna all’amore gay, in accordo con la sua biografia. Soprattutto questo, tuttavia, è l’ambito in cui risalta quella sua ritrosìa di cui gli siamo grati, anche se il prezzo è una certa carenza di carne e sangue, quelli che abbondano per esempio in Michael Cunningham, altro autore americano che milita per la causa gay. Ma ogni libro di Cameron è migliore del suo precedente, e forse il pregio principale di Weekend sta nel mostrarsi come una tappa intermedia, una sorta di approssimazione alla rinuncia dei suoi mezzi più accattivanti, che al tempo del romanzo appena tradotto non aveva ancora trovato i sostituti letterari ai quali affidarsi.