Sgomberi, arresti, fogli di via, denunce dei portavoce di questo o quel centro sociale, di questo o quel movimento per il diritto all’abitare. Sono solo alcuni degli esempi di interventi della magistratura che hanno influito non poco nell’agenda dei movimenti sociali per il reiterato uso che ne è stato fatto da alcuni anni a questa parte. Tutto questo senza nessuna legislazione d’emergenza, ma applicando rigorosamente il codice penale «ordinario». Sia chiaro, la legislazione d’emergenza contro il terrorismo rimane ed è stata usata in alcuni casi, come in Val di Susa, ma in questa anni il conflitto sociale è stato affrontato prevalentemente attraverso le leggi ordinarie. Quel che colpisce, semmai, è il fatto che il conflitto sociale più che affrontato politicamente, sia a livello locale che nazionale, è stato ridotto a problema di ordine pubblico.

Non è, questa, però solo una prerogativa italiana. È una tendenza ben presente in altri paesi europei e negli Stati Uniti.Molti studiosi parlano di questa gestione amministrativa, governamentale, direbbero i filosofi e sociologi seguaci di Michel Foucault, come una delle caratteristica di una società del controllo sociale. O il segnale di un diverso equilibrio tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario a favore della magistratura e del governo. A ratificare, così, la mancata capacità del sistema politico ad esercitare una qualche forma di mediazione che non sia quella espressa dal potere giudiziario. Sono questi i temi che saranno affrontati in un ciclo di tre seminari organizzati dal gruppo Docks, che prenderanno il via oggi a Roma, presso l’università Roma 3. Oggi, alle 16.30, nella facoltà di Lettere (aula Verra) , il primo appuntamento, dal titolo «In corpore vili. Strategie di contenimento sociale», vedrà la partecipazione dell’avvocato Francesco Romeo e di Giovanni Russo Spena (per tutte le informazioni: www.idocks.it).