«Ma perché tutte queste persone?» chiedeva Giusy Pesce a sua nonna Peppa Bonarrigo, classe 1933, madre di Ciccio Pesce, boss di Rosarno. E allora lei faceva capire alla nipote che chi aveva problemi o chi aveva bisogno di qualcosa, o chi faceva un lavoro per loro, «venivano lì per evitare di andare a casa e di essere visti, allora venivano lì e parlavano insomma delle loro cose…..». A casa Bonarrigo era «un via vai, un continuo, uno andava e uno veniva….» racconta Giusy Pesce, la collaboratrice di giustizia, gola profonda dell’omonimo clan. Nel corso dell’udienza del 22 maggio 2012, nel processo «All inside», Giusy Pesce svela struttura e attività della picciotteria di Rosarno.
Duecentocinquanta metri su un piano, realizzata a metà degli Ottanta, in piena zona archeologica, la villa di nonna Bonarrigo era disabitata dal 2011. Ma da ieri questa villa dei misteri , dei favori e degli intrighi non c’è più. Via Maria Zita, in pieno centro cittadino, sin dall’alba brulicava di uomini in divisa, accompagnati dai dipendenti comunali. Con in mano fascicoli e faldoni hanno iniziato le operazioni di verifica dell’immobile sgomberato una mattina di giugno di tre anni fa. La villa abusiva della famiglia Pesce dal 2003 risulta incamerata al patrimonio del comune di Rosarno, ma mai effettivamente sfruttata. Per quasi otto anni quest’immensa area fabbricata, immersa nel verde, e costruita in una zona vincolata era stata la dimora dorata del clan. Una casa che scotta, un luogo da non toccare. Fu Peppino Lavorato, il sindaco comunista della «primavera rosarnese», a far acquisire la casa al patrimonio comunale ai fini della demolizione. Qualche giorno dopo la picciotteria rispose con una mitragliata di kalashnikov sulla facciata del nuovo palazzo comunale. Lavorato istruì ugualmente la pratica. Furono bandite tre gare andate puntualmente deserte. E quando l’amministrazione comunale, guidata dall’attuale sindaca Elisabetta Tripodi, decise di procedere con la demolizione, Peppa Bonarrigo, inscenò una clamorosa protesta incatenandosi davanti alla sede del municipio.
L’ordinanza che giudicò abusivo il fabbricato risaliva al 2003. Poi, in sequenza, un ricorso al Tribunale di sorveglianza contro lo sgombero, rigettato, un nuovo ricorso al Tar, ancora respinto. Nel mezzo, l’immancabile silenzio di chi dovrebbe aver voce, politici ed istituzioni, che non sono mai riusciti a riprendersi quell’immobile che di fatto era già loro. Fin quando della vicenda, nella primavera scorsa, non si è interessata la prefettura di Reggio coinvolgendo una serie di ditte di fiducia. Si era pensato persino all’esercito. Ma sembra che il genio militare abbia posto il veto. Alla fine, dopo una trattativa privata, un’impresa della piana di Gioia Tauro, ha accettato l’incarico.
La «Saffioti Calcestruzzi e movimento terra» è una grande storia di coraggio e dignità. Come la stazza di quest’omone di oltre un metro e ottanta, barbuto, raro esempio di integrità morale. Gaetano Saffioti non ci ha pensato un attimo ad accettare l’invito del prefetto di Reggio, Michele Sammartino. Un imprenditore di Palmi, perché qui a Rosarno nessuna impresa ha mai risposto ai bandi e alle richieste del comune. Verrà abbattuta la parte di manufatto abusiva, e l’area sarà riconsegnata alla collettività anche al fine di effettuare gli scavi archeologici. Il tutto grazie a questo testimone di giustizia, sotto programma di protezione da 18 anni. Che vive asserragliato in un bunker, nella sua azienda, alla periferia di Palmi. Un vero fortino: cancelli blindati, muri in cemento armato, decine di telecamere, una gazzella della polizia fissa. Dal suo ufficio si scorge il raccordo per l’autostrada Salerno-Reggio. Per quell’arteria, dove ogni scavo e ogni metro d’asfalto ha il marchio della ‘ndrangheta, lui non ha mai lavorato. Da quando è diventato testimone di giustizia la vita di Saffioti e della sua famiglia non è più la stessa. Grazie alle sue denunce sono stati arrestati 50 affiliati alle cosche Bellocco e Piromalli, confiscati beni per oltre 20 milioni. Poteva andare all’estero. E’ rimasto in Calabria dove gli hanno fatto terra bruciata. Ha presentato offerte, partecipato a gare, offerto le prestazioni provocatoriamente anche a titolo gratuito. «Tutto inutile, solo qualche piccola fornitura presso privati». Fuori dai confini nazionali è tutta un’altra musica: Saffioti ha costruito la prima pista dell’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, autostrade in Romania e Bulgaria e, negli Emirati Arabi, Dubailandia, il più grande parco giochi del mondo. Solo un uomo libero come lui poteva osare: abbattere casa Pesce e far riprendere allo Stato un pezzo di libertà.