Un impero di frenesia barocca, rubando una felice intuizione di Mario Bortolotto, potrebbe essere il leitmotiv dell’ascolto della raccolta di Giovanni Paolo Colonna, Triumphate Fideles (2 cd Brilliant/Ducale 2015), e della conversazione con il direttore dell’Astrarium Consort, l’organista e cembalista Carlo Centemeri, che in certo qual modo può fregiarsi del merito di aver cavato dai buchi clandestini della storia della musica questo interessantissimo compositore del XVII secolo. Colonna, nato a Bologna tra il 1637 e il 1695, seguito da maestri della levatura di Giacomo Carissimi, soprattutto durante il suo soggiorno romano, fu molto attivo nello scodellare una via l’altra cantate e arie liturgiche per la Cappella di San Petronio tanto da rendere poi difficile una vera e propria sistemazione del suo patrimonio compositivo.

Tra opere e oratori, il più celebre ancor oggi è forse La caduta di Gierusalemme sotto l’imperio di Sedecia ultimo re d’Israelle. Nondimeno interessante è la «cubistica» figura del trentanovenne ingegnere elettronico, fanatico del prog e collezionista di vinili, marito di una delle più promettenti flautiste italiane, Laura Faoro, Carlo Centemeri su cui ruota l’Astrarium Consort, gruppo formato da musicisti, studiosi e cantanti particolarmente versati nella scoperta e valorizzazione di partiture inedite barocche da eseguirsi con acribia filologica su strumenti originali: «È stato un lavoro duro, ma di grandi soddisfazioni» – con malcelato orgoglio dice al telefono Centemeri – «siamo partiti dall’edizione critica, dalla ristampa dell’unica raccolta pubblicata da Colonna nel 1681 a Bologna, da qui abbiamo estratto dodic cantate destinate a feste per la Santa Beata Vergine». Dunque, il titolo non è quello richiamato dall’oratorio de Il trionfo della fede, peraltro risultante perduto: «sì, è un titolo fittizio che riprende il titolo di una delle cantate. Precisamente il Triumphate Fidelis per la Croce Santa».

Oltre alla collazione delle copie manoscritte, prelevate negli archivi di Modena e della Francia, piattaforma sulla quale l’album è stato costruito pezzo dopo pezzo va segnalato anche l’improbo lavoro di cesellatura della lingua latina: « Il lavoro condotto anche sui testi, particolarmente raffinati nel loro latinorum, è servito a correggere sviste dello stampatore e a ripristinare il testo originale». «Inoltre, ci è sembrato poi strano che Colonna avesse pubblicato le sue partiture a quarant’anni, quando lo si fa da giovani. Forse ed è un ipotesi che ne dovesse fare un uso come dire di servizio».

Infine, s’avverte una sorta di verticalità nell’ascolto delle cantate, un uso spaziale del suono, quasi teatrale; d’altronde visti i viaggi e i rapporti con i potenti dell’Europa di allora, Colonna doveva conoscere i grandi riformatori del teatro e della musica del suo tempo. «Certamente, Colonna aveva una concezione dello spazio molto ampia, era anche un teorico, non solo suonava ma costruiva organi, e i suoi brani venivano eseguiti nella Basilica di San Petronio, che si sa è particolarmente adatta ad ospitare e ad essere valorizzata dalle grandi polifonie».