Avremmo voluto parlare del film russo (CineMaxxi) di Aliona Polumina, Nepal Forever, una commedia, allegramente irriverente, almeno dalle prime battute. Purtroppo però dalla sala del Maxxi, il museo che dovrebbe appartenere alla città, è impossibile uscire e rientrare. Si disturba la gente col biglietto, sentenzia la maschera, con evidente poca esperienza di pubblico. Replica: «E se chi ha pagato ha necessità di andare al bagno?».« Si deve organizzare prima». No comment.

La buona notizia, però, è che la sala del Maxxi alle 14.30 del pomeriggio di un giorno feriale è piena. E ancora di più lo sarà la sala Petrassi per l’incontro con Wes Anderson, Jason Schwartzman e Roman Coppola, che presentano Castello Cavalcanti, un corto prodotto dalla Fondazione Prada, di cui Schwartzman è protagonista insieme a una Giada Colagrande versione sempre più misteriosa.

Il festival funziona, insomma, è riuscito a conquistare il mai scontato pubblico romano senza per questo rinunciare alla convinzione delle proprie proposte. Tutti contenti perciò? Si vedrà, i segnali complessivi intorno alla voce cultura nella capitale, dopo il comunicato sul bilancio in crisi del Teatro Argentina, sono allarmanti.
Wes Anderson è accolto da una standing ovation, la gente è stata in coda almeno due ore, è un mito e il primo a mostrarsi stupito è proprio lui, il regista dei Tenenbaum e di Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Sorride, pasticcia con le cuffie, parlotta con Coppola, produttore di Castello Cavalcanti, e Schwartzman, sul palco insieme a lui, infine chiede al moderatore Mario Sesti: «Perché mi fa le domande in italiano se tutti capiscono?». La sala ride. Con la camicia rosa, e la giacca di velluto elegante, Anderson ha la stessa aria svagata dei personaggi dei suoi film, creature stralunate che fuggono le regole del mondo «adulto», pensiamo ai ragazzini innamorati di MoonRise Kingdom, e alla loro malinconica fuga dal mondo in un altrove leggendario.

Castello Cavalcanti è un omaggio al cinema italiano del mito, Fellini e Cinecittà, ma anche Pietro Germi di Signore e signori, di cui hanno ripreso affettuosamente la colonna sonora. «Prada ci ha chiesto di presentargli una proposta, e io ho pensato che sarebbe stato bello girare qualcosa a Roma, nei luoghi di Amarcord, un film che amo molto, e di Pietro Germi» dice Anderson. «Wes ha un modo di lavorare fantastico: non solo segue il progetto ma vuole immergersi nei posti in cui gira. Andare a Cinecittà, e ricostruire il passato del cinema, è stato… molto romantico» aggiunge Jason.
E il cinema italiano contemporaneo invece? «Non abbiamo molte occasioni di vedere i film italiani in America» dice Anderson. Che tra i suoi registi preferiti mette Paolo Sorrentino – La Grande bellezza è un film bellissimo, amo molto l’attore protagonista, Toni Servillo». Poi Gomorra di Garrone (annunciato tra gli incontri nel vivace spazio della libreria del cinema di Roma, gestita da Giuseppe Piccioni, che nella settimana del festival si trasferisce in Alice nella città). Nanni Moretti, e Io sono l’amore di Luca Guadagnino: «Lo adoro».
Eccoci in un paesino, nell’Italia vintage degli anni Cinquanta, Castello Cavalcanti. Davanti al bar col telefono a gettoni, gli uomini al tavolo bevono vino e giocano a carte. Le donne chiacchierano, tutti aspettano l’arrivo della Mille Miglia, la corsa di automobili. Infine i piloti sfrecciano veloci lasciandosi alle spalle il rombo dei motori, tutti tranne uno, Jes Cavalcanti. Il meccanico gli ha montato male lo sterzo e lui, dopo disperati tentativi di rimanere in pista, è finito diritto contro il monumento in mezzo alla piazza, spiaccicando le povere galline.
Anderson si diverte, gioca anche con lo sponsor, dissemina omaggi affettuosi – complice la fotografia di Darijus Kondj al cinema e a un immaginario italiani d’epoca rivisitati con una grazia pop. Veste Giada Colagrande, cameriera del bar, tutta di fascinoso nero, mentre il nostro Jes scopre che in quel paesino ci sono ancora i suoi antenati. Anderson lo pensa – o almeno vorrebbe – un po’ come il primo capitolo di una serie, col personaggio dell’automobilista che continua a girare nel mondo. «Stavolta il nostro riferimento erano Fellini e Germi, ma potremmo trovarne altri in diversi paesi, prendendo ogni volta un regista o un studio che ci piacciono e costruire il nostro omaggio. Dobbiamo chiederlo a Prada» sorride.

Intanto Anderson ha finito il suo nuovo film, che sarà alla prossima Berlinale (forse il festival romano sperava di averlo in anteprima ..), The Grand Budapest Hotel, ambientato in Europa tra le due guerre – «Soprattutto negli anni Trenta» – in un paese inventato: «Una specie di miscuglio i tra la Cecoslovacchia, la Polonia e l’Ungheria». La storia? Le avventure di un concierge in un albergo molto famoso, e del giovane impiegato che diviene il suo protetto con un cast stellare che va da XX a Xx. «Il riferimento principale è stato Stephen Zweig. Ho cercato anche di fare un cinema americano alla Lubitsch, ambientato cioè nel Vecchio Continente. Nella colonna sonora abbiamo mescolato tante suggestioni della musica dell’est europeo rivisitata dall’orecchio e dalla sensibilità di un compositore francese come Alexander Desplat».