La voce di un appello del presidente del consiglio uscente diffuso già nel primo giorno della crisi circolava da ancora prima che, a metà mattinata, Conte entrasse al Quirinale per rassegnare le dimissioni.

Si concretizza in serata con un post su Facebook, veicolo meno fragoroso e dunque meno istituzionalmente sgarbato della conferenza stampa o dei videomessaggio al quale avevano pensato in un primo momento a palazzo Chigi.

L’avvocato ricorda di aver ottenuto la fiducia in entrambi i rami del parlamento la settimana scorsa e giustifica la scelta di dimettersi comunque con la necessità di guidare il Paese «in un momento davvero molto difficile» con «un governo che abbia una maggioranza più ampia e sicura». Ai parlamentari rivolge un appello diretto: «È il momento che emergano le voci che hanno a cuore le sorti della Repubblica». In concreto «serve un’alleanza, nelle forme in cui si potrà diversamente realizzare, di chiara lealtà europeista, in grado di attuare le decisioni che premono, per approvare una legge elettorale proporzionale».

L’INTENZIONE di presentare le dimissioni come dettate non da debolezza ma dalla scelta forte di rilanciare il governo è evidente, non difesa ma attacco. L’offerta del proporzionale rivolta alle forze centriste minori è esplicita.

Ma il cuore della strategia di Conte resta quello che aveva in mente quando due giorni fa si è deciso, dopo lunga esitazione, alle dimissioni. Uno schema a cerchi concentrici: nel primo una maggioranza autosufficiente, nel secondo i renziani, in maggioranza ma senza alcun potere e possibilmente anche senza ministeri, intorno la «cintura di sicurezza» della commissione riforme, con senatori di centrodestra che, pur non votando la fiducia, correrebbero se del caso in aiuto.

LA MISSIONE DI CONTE sembra fallita ancora prima di cominciare. Non la formazione del suo terzo governo: quella è una partita che comincerà solo quando riceverà l’incarico. Le consultazioni inizieranno oggi pomeriggio con i presidenti della Camere e termineranno venerdì.

L’esito è praticamente certo: l’incarico a Conte è garantito. La destra si presenterà in delegazione unitaria e non lascerà alternative al voto, anche se Fi non chiude le porte all’unità nazionale ma senza Conte. La maggioranza indicherà Conte. Iv non farà nomi ma non porrà veti. Ma lo schema adombrato anche nell’appello è già saltato. Per realizzarlo sarebbero necessari nuovi ingressi nella maggioranza e qualche uscita da Iv. Ieri non si è mossa una paglia. Nessuno bussa. Nessuno lascia Renzi. L’Udc resta a destra.

IERI PER ORE IL TAM TAM di palazzo Chigi e del governo, come sempre in questa crisi incauto, ha annunciato l’imminente formazione di un nuovo gruppo parlamentare, destinato a nascere in tempo per partecipare alle consultazioni. Ma con nessun nuovo voto per Conte: tutti già in maggioranza.

Nel tardo pomeriggio, con il calendario delle consultazioni congelato al Quirinale in attesa del lieto evento, non se n’era ancora fatto niente. La situazione si è sbloccata in tarda serata, grazie a un «regalo» del gruppo delle Autonomie, l’ex 5S Marilotti. Gli altri componenti del gruppo, che si chiamerà Centro democratico, sono i cinque del Maie più De Falco, i due fuoriusciti da Fi Causin e Rossi, la senatrice Lonardo Mastella. È un episodio minore nel quadro della crisi. Ma la fatica e le tribolazioni necessarie per comporre un gruppo pur tutto già interno alla maggioranza dicono molto sullo stato delle cose.

LE SPERANZE di arrivare a una maggioranza senza bisogno di Renzi non sono del tutto svanite. Ma quasi sì. Senza un miracolo per Conte sarà obbligatorio trattare con un Renzi in posizione di forza. Indispensabile. Sarà appesa proprio alla trattativa diretta tra i duellanti, il premier uscente e il suo predecessore, la sorte di un Conte ter comunque molto diverso da quello che immaginava l’«avvocato del popolo» ancora ieri mattina.

IERI SERA IL ROTTAMATORE si è fatto sentire di nuovo. «Noi andremo al Quirinale senza pregiudizi», promette dopo aver rivendicato le ragioni di una crisi «che non ha aperto Iv». La strategia è chiara: Renzi non farà questioni di nomi ma cercherà di usare i contenuti per far saltare Conte e per far esplodere il M5S, puntando soprattutto sul tema della giustizia contando anche sui nuovi acquisti della maggioranza. Oltre alla giustizia, il Recovery e la gestione commissariale della pandemia e dei vaccini. Se ce la farà e Conte getterà la spugna tutte le opzioni torneranno sul tavolo e la prima sarà proprio quella di sostituire Conte. A quel punto anche Fi, se non l’intera destra, potrebbe in qualche modo tornare in campo.