Ben pochi credono che dalla conferenza di Ginevra II, che si apre oggi a Montreux, possa uscire la soluzione politica in grado di mettere fine al bagno di sangue della guerra civile siriana, costata sino ad oggi la vita di oltre 130 mila persone. Sulle possibilità di successo dell’incontro, che parte con il piede sbagliato dopo il ritiro dell’invito all’Iran, abbiamo rivolto qualche domanda a Mouin Rabbani, analista politico del Middle East Report e di Jadaliyya.

Dopo innumerevoli rinvii oggi parte Ginevra II. Cosa dobbiamo attenderci?

Questa conferenza sulla Siria, concepita da Usa e Russia quasi un anno fa, ha visto ridursi le sue potenzialità con il passare dei mesi, con il progressivo aggravarsi di problemi sul terreno in Siria. La realtà che abbiamo di fronte ci dice che le possibilità di successo sono modeste. Mi riesce difficile immaginare che dai negoziati previsti nei prossimi giorni le parti in lotta escano con in mano un compromesso politico credibile.

Pesa l’assenza dell’Iran, alleato della Siria, giocatore di primo piano sullo scacchiere regionale ma escluso per le pressioni statunitensi sulle Nazioni Unite. «Senza l’Iran la possibilità di una vera soluzione in Siria non è poi così grande», ha avvertito il viceministro degli esteri iraniano, Abbas Araghcì. Ha ragione?

Credo di sì. La partecipazione di Tehran assieme a quella di altri attori regionali che recitano sulla scena siriana avrebbe aumentato le possibilità di Ginevra II di raggiungere qualche esito concreto. Una soluzione globale non potrà essere trovata se tutte le controparti influenti non saranno coinvolte nel processo. Purtroppo Washington ha ceduto alle pressioni delle opposizioni siriane che minacciavano di boicottare la conferenza.

E anche dei sauditi?

Certo. I sauditi avevano contestato sin dal primo momento e con grande forza l’eventuale partecipazione dei loro nemici ai negoziati in Svizzera. L’Amministrazione Usa non avrebbe dovuto cedere a minacce e ricatti politici ma puntare a creare le condizioni migliori per le trattative. Da quando Riyadh ha fatto la voce grossa per il mancato attacco americano alla Siria (lo scorso settembre, ndr) e, ancora di più, per l’accordo sul nucleare iraniano tra l’Occidente e Tehran, Washington ha cercato in ogno modo di assecondare gli alleati sauditi.

Secondo gli Stati Uniti, la Francia, il gruppo di Paesi “Amici della Siria”, le opposizioni e i ribelli armati, Ginevra II dovrà avere come sbocco l’esclusione di Bashar Assad dal futuro della Siria e la fine del regime al potere. Il presidente siriano però non ha alcuna intenzione di farsi da parte.

E’ una delle questioni aperte alle quali sarà molto difficile dare una risposta accettabile per tutte le parti coinvolte. Qualcuno aveva immaginato la caduta in pochi mesi di Assad e invece a quasi tre anni dai primi scontri che hanno innescato la rivolta, poi sfociata nella guerra civile, il presidente siriano è ancora al suo posto. E non tanto per gli aiuti che riceve dalla Russia, dall’Iran, dall’Iraq e da Hezbollah, quanto per il sostegno di cui gode da parte di milioni di siriani. Certo i motivi di questo sostegno solo molteplici, a cominciare dalla paura che alcune minoranza hanno dei gruppi islamisti, spesso molto radicali, che combattono il regime. In ogni caso questo sostegno c’è e tiene in sella Assad.


Parliamo proprio dei sempre più influenti e potenti islamisti. Hanno già avvertito che non riconosceranno gli esiti di Ginevra II. Come sarà possibile applicare un eventuale compromesso politico se la Coalizione Nazionale dell’opposizione e il suo braccio armato, l’Esercito libero siriano, hanno un controllo sempre più limitato sul terreno.

Infatti, non credo che questo possibile accordo sarebbe realizzabile. E non solo perchè i ribelli armati, o almeno quelli che contano sul terreno, non lo vogliono. L’ostacolo principale è che sia Bashar Assad che gli oppositori armati sono convinti di poter vincere la guerra civile e, pertanto, continueranno a combattere per sbaragliare l’avversario. Ed intenzionati a favorire il proseguimento della guerra sono anche i Paesi alleati delle due parti in lotta. Coloro che prenderanno posto intorno al tavolo del negoziato in realtà alla conferenza ci vanno perchè non hanno potuto dire di no a Washington e Mosca. In testa hanno ben altri progetti e il sogno di vincere la guerra.