Come Hobbs, il tigrotto di Bill Watterson compagno inseparabile delle avventure di Calvin, Sandro vive solo nell’immaginazione di Pallas e ha un copricapo che lo fa assomigliare vagamente a Topolino. Anche lui è altissimo, braccia così lunghe che Pallas non può fare a meno di farsi abbracciare e di trovarvi conforto. Pallas ha ormai 26 anni e non riesce ad emanciparsi da una figura che è rifugio sì, ma anche alibi e limite rispetto alla sua crescita intellettuale ed emotiva. Questo il nucleo della storia di Sandro di Alice Socal, pubblicato in maggio da Eris Edizioni, le cui tavole sono state in mostra fino all’11 ottobre a Treviso (Galleria Papermedia) e verranno poi esposte a Bologna in occasione del BilBolBul (19-22 novembre) al Cappello Rosso, l’albergo di Bologna dove l’autrice decorerà, com’è abitudine, anche una stanza dell’hotel che da anni collabora con il festival internazionale di fumetto. Incontriamo Alice Socal, classe 1986, nel bel chiostro dell’ex-ISRAA, dove durante il Treviso Comic Book Festival è allestita la mostra mercato.
Sei un’autrice molto giovane e «Sandro» è il tuo secondo libro dopo «Luke», pubblicato da Giuda edizioni…
In verità io mi sento molto anziana…
Perché?
Ho quasi 30 anni, ho cominciato molto presto a disegnare e altrettanto presto mi sono focalizzata sul fumetto. Ho pubblicato i primi lavori a 19 anni ed ero molto esaltata ed entusiasta rispetto al mezzo e a quello che mi permetteva di fare. Quindi mi sembra di aver trascorso parecchio tempo in questo ambito. Fare un fumetto richiede molto tempo, almeno a me. Non ho un metodo di lavoro lineare. Sento fatica nell’esprimere idee e organizzare una storia, nel risolvere una linea narrativa. Ho impulsi e impressioni che mi piacerebbe riuscire a esprimere, e rendere leggibili per il lettore, ma trovo anche molte difficoltà.
Questo succede forse anche perché i temi che tratti e ai quali ti avvicini sono molto profondi e intimi?
Non è una scelta, è la direzione che mi capita di prendere sempre. Credo si tratti della mia identità: non avviene per scelta, ma per vocazione. Non sono capace di fare altre cose. Se avessi un buon approccio con la storia, potrei documentarmi e fare un fumetto su un personaggio storico, ma non credo di averne la capacità.
Come ti approcci invece all’illustrazione, ci sono differenze con la narrazione?
Con l’illustrazione sono più distesa e sicura di una certa professionalità. È rilassante: mi concedo interamente al disegno, non devo pensare alla costruzione del narrato, mi affido completamente all’immagine. Mi sento molto a mio agio, anche se sul lato commerciale non sono ancora riuscita a far ingranare l’attività.
Quindi perché scegli invece la modalità narrativa?
Mi mette in difficoltà, ma è una sfida, un’avventura, un territorio non del tutto familiare nel quale non mi muovo ancora in modo disinvolto, anche se capisco che sta funzionando. Non riesco ancora a figurarmi la storia prima di iniziare. Anche Sandro è nato disegnando i personaggi, senza sapere chi fosse questa specie di Mickey Mouse ciccione, o cosa volesse dall’altro personaggio, Pallas, che aveva già fattezze più realistiche. La prima situazione in cui li ho immaginati è stata quella del compleanno e ho identificato questo grande Mickey Mouse come la materializzazione dell’affetto puro e incondizionato. Ho lasciato che i personaggi interagissero, il compleanno era l’occasione, non so cosa ci fosse prima, né dopo.
Il compleanno arriva come momento ultimo prima di un brusco ritorno alla realtà, in cui Pallas incontra Frank, un ex compagno di classe ormai adulto. Una svolta narrativa importante.
Sì, anche se – come al solito – realtà e sogno si mischiano sempre.
Non a livello stilistico; nel sogno e nel flashback usi il seppia invece che la matita normale.
Esatto. La scelta della bicromia però è stata fatta insieme agli editori. Il fumetto era perlopiù pronto, ma mi hanno suggerito l’inserimento di alcune tavole di raccordo e quest’accorgimento cromatico per aiutare il lettore.
Il tuo libro precedente «Luke» era disegnato con una penna Pilot. A cosa si deve questo cambiamento di tecnica?
Luke è stato un lavoro più rabbioso. Avevo molto chiara sia la personalità che la dinamica tra dei personaggi. Ho disegnato le prime 10 tavole in due giorni, c’era molta urgenza. Con Sandro invece ho voluto rallentare e prendermi altri tempi, dare importanza al disegno e curarlo, rilassarmi. Tra l’altro è nato come la mia tesi di laurea, per questo è un lavoro più posato. La matita mi distende e mi fa entrare in uno stato mentale in cui riesco meglio ad immaginare chi sono davvero questi personaggi. Il chiaroscuro attiva una riflessione più profonda, sono più immersa nel lavoro.
In entrambi i tuoi libri i protagonisti sono costretti a fare i conti con l’avvento dell’età adulta. Cosa pensi dell’adolescenza e com’è raccontarla?
Penso che sia un gran casino! Mi è sempre interessato ascoltare i racconti altrui e ho sempre avuto curiosità per le narrazioni che avessero a che fare con questo momento. Durante l’adolescenza cambia tutto. A me faceva molta paura l’idea del passare del tempo, di diventare adulta. È un pensiero che mi ha ossessionato a lungo. Poi s’impara a vivere, ad affrontare le cose una alla volta, e abbandonare il mondo dell’infanzia fa meno paura. In Sandro ho scelto un personaggio maschile proprio per mettere un filtro, perché non fosse troppo autobiografico, così da sentirmi più libera e meno condizionata. Spero di essere stata abbastanza delicata rispetto all’adolescenza maschile.
Il dato autobiografico rimane però nelle date: la storia inizia con una tavola datata 1986, quando Pallas ha 10 anni, e si svolge intorno al suo 26 compleanno.
Sì, anch’io sono nata nel 1986, quindi il protagonista ha la mia età. Non solo: ho finito il fumetto giusto prima del mio 26esimo compleanno, quasi una mania stupida, finire il fumetto in concomitanza con i miei studi e prima di compiere gli anni.

Mi sembra invece un pensiero molto adulto: a questo proposito, nei due libri l’adultità sembra una tappa obbligata, invece Sandro è in un certo senso un freno nel percorso di Pallas.
Sandro è quella figura che protegge il protagonista dal dover essere nella società, dal dover avere una vita professionale, sentimentale, tutti obblighi molto impegnativi. Che poi appunto, accadono pian piano, ma quando te li immagini nell’adolescenza, spaventano un po’. Sandro è quella figura rassicurante che solleva il protagonista da questi obblighi, che gli vuole bene e che lo accetta comunque, anche nelle sue rinunce. È chiaro che di contro Pallas non si mette in discussione, non tenta mai di superare i propri limiti, continua a autogiustificarsi, ma così rischia di non crescere.
C’è poi un altro personaggio immaginario nel libro, l’oca tricefale, come una coscienza a tre teste, una specie di aiutante Cerbero per Pallas?
Sì, un vero «lifecoacher», una figura professionale che sostiene di poter aiutare le persone a migliorarsi, a vivere meglio le relazioni sociali, un personaggio pensato come un’oca a tre teste. Inizialmente pensavo di inserirle come un coro, un elemento ispirato alla tragedia greca, che fosse lì a commentare e a opinare sulle azioni e in questo caso sullo stile di vita del protagonista, ma poi mi è sembrato divertente che potesse essere un solo personaggio, con tre teste, tre personalità e tre voci, che talvolta sono in accordo e talvolta bisticciano. Come nell’adolescenza ognuno ti vuole dire la sua su come bisognerebbe vivere.
Come hai costruito il personaggio di Sandro?
Era già presente in uno studio realizzato con Stefano Ricci ad Amburgo. L’ho creato come una persona sbagliata, una presenza equivoca. Quando questo grosso Mickey Mouse ciccione entrava nella casa di un personaggio, iniziava a fare cose sgradevoli, come dipingere le pareti, prendere della frutta etc, come un elemento di disturbo, un intruso. Poi però alla fine si rilevava un amico che compieva certi gesti proprio per aiutare quella persona.
Quindi in un certo senso nel libro lo hai un po’ ribaltato: è un sollievo per Pallas sapere che Sandro c’è, anche se lo limita nella sua crescita.
Sì, Pallas è esasperato da tutto l’amore e l’affetto che riceve da Sandro, me non sa come sganciarsene, proprio nel momento della vita in ci si sente di dover dimostrare che si è grandi e autonomi.
Hai avuto un amico immaginario?
No. Ho avuto però un dio immaginario, al quale rivolgevo le mie richieste la sera, a cui provavo a indirizzarmi. Avendo ricevuto un’educazione laica, ci sono stati momenti in cui avevo bisogno di credere e di rivolgermi a qualcuno, a qualche entità superiori.
Che materiali hai usato per questo fumetto?
Micromina Medio morbida 0.3 0.5, non sono pittrice, e me rallegro…la bellezza del fumetto è che basta una matita e un foglio.

Una semplicità che lascia il debito spazio alla complessità del contenuto: al suo secondo libro Alice Socal indaga le pieghe delle insicurezze adolescenziali attraverso il topos dell’amico immaginario, non senza problematizzare la tensione tra Sandro e il protagonista: Le pagine di Sandro sono assediate dalla tensione tra il dover diventar grandi e non sapere come fare, un’incertezza che si insinua nel disegno attraverso interessanti sovrapposizioni e sdoppiamenti, quasi cancellature di quell’ ossessione immaginaria e ingombrante. Nella sua storia delicata e intima, dove voglia di libertà e paura di crescere convivono nell’uso sapiente di una semplice micromina, Socal abolisce lo spazio bianco delle griglie. «Una questione di comodità», spiega l’autrice. Una pigrizia giustificata dall’urgenza di raccontare con immediatezza e profondità la tappa ardua e talvolta dolorosa del divenire adulti.-