È bastato poco al presidente del Consiglio Renzi per spogliarsi della mimetica al fine di sfuggire all’analisi del voto regionale e tornare pieno di sé, sbandierando i successi del proprio governo e dell’Italia che cambia.

Quale migliore occasione se non i dati provvisori sull’occupazione pubblicati dall’Istat che certificano per il mese di aprile un aumento dell’occupazione e un calo dei disoccupati e concordano finalmente con quelli del Ministero del Lavoro?

Nel mese di aprile, secondo l’Istituto di Statistica, il numero di occupati è aumentato di 269 mila unità rispetto ad aprile 2014 e di 159 mila unità rispetto a marzo 2015. Il numero di occupati aumenta, principalmente per la componente femminile (+187 mila). Nello stesso periodo, diminuisce invece il numero di disoccupati -17mila e crolla il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (-308 mila unità). Su base annua quindi, il tasso di occupazione complessivo aumenta dello 0.7% mentre quello di disoccupazione e inattività diminuiscono rispettivamente dello 0.2% e dello 0.7%. Un aumento dell’occupazione che riguarda anche i giovani per i quali il tasso di occupazione aumenta dello 0.7% mentre quello di disoccupazione cala del 2,4% in termini tendenziali.

Le informazioni quantitative fornite dall’Istat nulla rivelano riguardo gli effetti del JobsAct in sé, ma paiono piuttosto confermare, come già sostenuto da Raitano e Patriarca sull’ultimo numero di Sbilanciamoci-Il manifesto, che le imprese hanno molto probabilmente frenato volontariamente l’incremento dell’occupazione nell’ultimo trimestre del 2014 per ottenere gli ingenti sgravi contributivi previsti dalla legge di stabilità e poter allo stesso tempo (da marzo) sfruttare le minori tutele previste con il decreto a tutele crescenti. Fin qui i proclami del governo riflettono unicamente la propria propaganda.

Ancor di più se si guarda alle informazioni relative al primo trimestre del 2015, nonostante non siano destagionalizzate, è possibile però fornire maggiori informazioni circa il tipo di occupazione che ha prevalentemente caratterizzato il mercato del lavoro nel primo trimestre del 2015. Innanzitutto, la crescita dell’occupazione riguarda solo ed esclusivamente la fascia di età degli over 50, infatti per gli individui tra i 15 e i 49 anni il tasso di occupazione diminuisce rispetto al primo trimestre del 2014. Sempre agli over 50 è da attribuire la caduta del tasso di inattività trainato da coloro che pur essendo in pensione cercano nuovamente lavoro.

Tra le tipologie lavorative, aumentano, in termini percentuali, sia il lavoro dipendente sia quello indipendente (rispettivamente dello 0.7 e 0.6 per cento), tuttavia nel 70% dei casi l’aumento del lavoro dipendente è a tempo determinato. Non stupisce allora se l’incidenza del fu lavoro a tempo indeterminato sul totale degli occupati diminuisce, soprattutto per la componente full time. A conti fatti, nonostante l’eco mediatico alla propaganda del governo, la realtà continua a restituire un mercato del lavoro instabile e caratterizzato dall’assenza di opportunità. Infatti, nonostante i contratti part-time crescano meno in questo trimestre rispetto a un anno fa, il part-time involontario continua ad aumentare con un’incidenza del 64,7% sul totale dei lavoratori a tempo parziale.

Così mentre l’occupazione aumenta, diminuisce il tasso di disoccupazione soprattutto tra gli ex-occupati e coloro in cerca di prima occupazione. Tuttavia, analizzando il dato relativo ai giovani tra i 15 e i 24 anni, nonostante una riduzione complessiva di oltre l’1%, per le donne, sia al Sud che al Centro, il tasso di disoccupazione aumenta rispettivamente dell’1,2 e del 2,3%.

Allargando un po’ la prospettiva i dati provenienti dal mercato del lavoro non indicano nessuno cambiamento significativo da gennaio ad oggi, soprattutto considerando che l’arresto della recessione tecnica è dovuta principalmente a fattori esterni all’economia italiana e a un ingente trasferimento di risorse dalla finanza pubblica alle imprese. La legge di stabilità per il 2015 prevede infatti per quest’anno 1.9 miliardi di decontribuzione per le imprese più il taglio del costo del lavoro dall’Irap (circa 3 miliardi). Se nel 2015 ci fosse un aumento degli occupati a tempo indeterminato di 200 mila unità, il costo per la collettività in termini di fiscalità generale sarebbe di 6 miliardi.