Emilio Lussi arrivò sull’altipiano fervente interventista. Vedeva nella guerra l’occasione per conciliare il popolo della sua Sardegna con l’idea della patria nuova che sarebbe sorta più giusta dal conflitto. La barbarie cui assistette tra i ghiacciai gli cambiò la prospettiva. La guerra non avrebbe sovvertito la nazione, anzi: dentro la trincee si riproducevano le stesse logiche di sfruttamento e di brutalità che governavano la vecchia Italia. Strage assurda (settecentomila italiani morti), disciplina bestiale imposta ai subalterni (fucilazioni alle spalle di chi si rifiutava di uscire dalla trincea per farsi massacrare), decimazioni per gli insubordinati (come quelli della brigata Catanzaro).

La grande fuga come soluzione. Più di trecentomila espatriati per non finire triturati nel grande mattatoio; in mancanza di mezzi, darsi alla macchia. Poi le ferite autoinflitte per racimolare una licenza, e l’altra grande fuga, quella nella malattia mentale simulata per non farsi travolgere dalla follia vera, quella della guerra di trincea. E la bestialità di mandare al macello, sul Monte Grappa e nei dintorni, la leva del ’99. Diceva ieri Pellizzotti che il Monte «fa paura a guardarlo». Si riferiva allo sforzo che attendeva il gruppo. Figuriamoci cosa dovette sembrare a quei soldati ragazzini, per l’anagrafe di allora minorenni.

Oggi arrivano ad Asiago i corridori, dopo la scalata al Monte Grappa. I fuggitivi hanno meno sprint, sarà che manca Landa a dare brio alla scampagnata. Si ripete così il balletto ormai usuale. Nibali, Quintana e Pinot sembrano incapaci di fare a meno l’un degli altri, quando ci si arrampica. Più indietro assiste sornione alla baruffa Dumoulin, le gambe ben piantate nella tappa di oggi e la testa rivolta alla crono di domani, quando, pensa, potrà uscire dal retino nel quale si era cacciato. Si creano così due plotoncini, quello di chi parte sconfitto in partenza a cronometro, e a rincorrere una specie di nazionale del Benelux, tutti a lavorare per Dumoulin. Sul traguardo la spunta Pinot (visto quanto fatto in questi giorni, lo meritava più degli altri), e se possibile la generale è un nodo ancora più intricato.

Tremila chilometri dalla Sardegna all’altipiano, montagne, salite, discese, caldo e vento, e si decide tutto in una sparata di mezz’ora tra l’autodromo di Monza e Piazza Duomo. Quintana è in maglia rosa, seguono Nibali e Pinot. Dumulin il Giro lo può quindi perdere. «Se fora cinque volte», così chiude il dibattito Cassani.